giovedì 26 febbraio 2015

          Da VERSI SATIRICI, edito da BookSprint pubblico qui
         di seguito i sonetti XI – XII- di CHIACCHIERE.
                                       
                        XI
 Lo vedi tu quel gatto che l’ha fatta
E come nella buca la nasconde
Anche all’odore? Le sue cose immonde
Lui le copre, ciannusa e poi ce gratta.

Come fa il gatto e come fa la gatta
Dentro di noi in pieghe assai profonde
La verità se copre e se confonde
Come nel settemmezzo fa la matta.

E Dio ce scampi se per qualche via
La verità se scopra e venga fori
Nella bruttezza della sua follia!

Allora sentiremmo i suoi fetori
Da non trova’ riparo dove sia
Ad evitarne i putidi sentori!

                            XII
Per il micione è verità l’olfatto,
Per la folla è quella in cui cià fede,
Per cui anche alla prova non ce crede,
Pure a quella incontestabile del fatto.

La fede se la trova dentro al piatto,
Perché oltre quel piatto non ce vede;
E governa chi quel piatto gli concede
Cento volte mangiandogli il baratto.

La verità sarebbe la salvezza
Se la folla avesse un bon sapere
E non avesse invece la capezza

Con cui ben la domina il potere,
Fornendogli una stupida certezza
Per dargliela poi al solito da bere!




venerdì 6 febbraio 2015


Il modano è un cannello con cui i pescatori rammagliano le reti. Per me qui è una metafora del blog in cui m'ingegno di rammagliare le mie memorie per rievocare eventi del passato.
 Oltre questo blog, chi lo volesse potrebbe leggere anche gli altri due miei blog:”Poesia e forma.blogspot.com”-- “Echi e richiami.blogspot.com”


                                              MEMORIA
   Si torna spesso indietro, nella memoria. Molto spesso senza volerlo. Ritornano immagini a volte improvvise, però quasi sempre legate ad emozioni, che evocano in noi ricordi e suggestioni.
  A me accade spesso con il ricordo di mio padre. Mi torna in mente la sua immagine, anche ora che non c’è più da molti anni e io sono diventato vecchio. E sento di assomigliargli sempre di più. 
  Sento anche di essere quello che sono, perché sin da ragazzo volevo essere come lui e fare le cose come le aveva fatte lui. Ma anche andare oltre, come avrebbe fatto lui se avesse potuto, se nella sua giovinezza avesse goduto delle nostre nuove condizioni di vita, con la luce elettrica, con la radio che diffondeva le notizie, con i giornali e con i libri, di cui si poteva conoscere l’esistenza con qualche catalogo ricevuto con la posta, così come era successo a me,  ai miei tempi. Tutte cose che nella sua infanzia e nella sua gioventù egli non aveva potuto conoscere  e di cui io avevo avuto appena qualche conoscenza, quando andavo con le pecore o vangavo il terreno sotto le viti e per la semina di patate e fagioli.
  Eravamo stati condannati all’ignoranza, io e lui, per condizioni sociali ed economiche, come la grandissima maggioranza della popolazione del nostro tempo. Facevamo parte degli esclusi, prima lui e poi io, per una società fondata sull’iniquità delle disuguaglianze di classe. 
   Lui non poté frequentare neanche la scuola elementare, poiché a sette anni dovette portare al pascolo il paterno branco di capre, con cui si campava in famiglia. Ma imparò a leggere e a scrivere da solo, poi mandò a memoria gran parte della Divina Commedia, dell’Orlando Furioso e della Gerusalemme Liberata, compose poesie e tutti i giorni si comprava il giornale, come si compra il pane quotidiano. 
   Io ebbi la fortuna di frequentare la scuola, solo quella elementare però. Ma ebbi una fortuna ancora più grande, quella del suo esempio di amore per la lettura, per i libri, e soprattutto per conoscere e capire mediante i libri; cioè la fortuna di usare i libri per  accumulare cultura e conoscenza, sfruttando ogni ora libera, anche quando mangiavo, lavorando di mente in ogni momento, anche mentre vangavo.
   Ora che sono vecchio, mi torna in mente lui da vecchio, con gli occhiali e piegato sul libro aperto, assolutamente assente per quanto gli accadeva intorno. Oppure seduto su una panchina  nei “ Giardinetti”, totalmente immerso nella lettura del giornale, così come lo ritrasse Erminio Frappetta con una foto che conservo in un mio cassetto. Morì al compimento esatto del novantunesimo anno, esatto fin nel minuto, poiché era nato lo stesso giorno e alla stessa ora e allo stesso minuto del 1890.
  Lo ricordo anche qui, ora, perché morì di questi giorni, il dieci febbraio del 1981, pochi mesi prima che potesse avere la soddisfazione di sapermi nominato direttore didattico, anche se come lui avevo pascolato le pecore fino a tutta la mia gioventù e a dispetto di una società  fondata sull’ingiustizia delle disuguaglianze di classe.

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