martedì 30 ottobre 2018


                                       PRESENTI ALLE BANDIERE

  “Presenti alle bandiere”. Era questa una ridondante enunciazione retorica. Ma triste. Luttuosa. Il significato nudo e crudo era: "Uccisi in guerra". Nella seconda guerra mondiale.
   Ogni mattina io compravo il giornale per mio padre, che però anche io  leggevo ogni giorno da cima a fondo e, inevitabilmente, in prima pagina, quasi sempre al centro, leggevo uno specchietto statistico intitolato appunto “Presenti alle bandiere” e poi di seguito: "Fronte russo" seguito dal numero dei morti; "Fronte jugoslavo" seguito dal numero dei morti; "Fronte libico" seguito dal numero dei morti.
   Quel che più mi sorprendeva in quel trafiletto era il fronte jugoslavo col numero dei morti frequentemente più alto di quello del fronte libico. Non sapevo spiegarmelo, giacché la Jugoslavia era già stata conquistata dal nostro esercito: invece vi  era sempre un certo numero di nostri soldati uccisi che indicava uno stato di guerra.
    Lo capii ascoltando i racconti dei soldati compaesani che tornavano in licenza da quel fronte, cioè da tutta la Jugoslavia, perché il fronte non c’era, ma la guerra c’era dovunque. C’era la guerra partigiana, che le popolazioni slave conducevano contro gli invasori, cioè contro le nostre truppe che avevano invaso le loro terre.
  Una guerra condotta raramente con attacchi frontali, ma con agguati tesi nei momenti e nei luoghi più adeguati e con frequenti sabotaggi delle vie di comunicazione, cui le nostre truppe reagivano fucilando chiunque si fosse trovato nelle zone degli agguati e bruciando le case, paesi interi con vecchi e bambini, non diversamente da come poi fecero da noi i tedeschi, quando reagimmo con la guerra partigiana alla loro occupazione del nostro paese nel 1943/44/45.
   “Presenti alle bandiere” era una delle tante espressioni retoriche in cui eccellevano i fascisti sulle orme di Mussolini, che se ne poneva al centro col definirsi Duce, che dichiarava come “nuova era” il tempo del fascismo e col porsi in continuità  con lo spirito e la grandezza della Roma di Cesare.
   In fondo tutto il fascismo era una figurazione retorica, non solo con gli orpelli delle divise, ma con tutti gli atteggiamenti pseudo atletici e pseudo guerreschi, a cominciare dal ciarpame dei simboli con teschi e pugnali per finire con il cosiddetto passo romano.
  Ma i fatti erano altri. Ed erano tragici. Finché tutto si era limitato alle manifestazioni guerraiole, alle sceneggiate delle adunate, ai roboanti discorsi dai diversi balconi d’Italia, la popolazione si era entusiasmata alle partecipazioni rituali dei cortei e delle ovazioni come su un palco del teatro pirandelliano.
   Poi però con la guerra, le cannonate, i bombardamenti, le sofferenze e i morti, cioè con i “Presenti alle bandiere”, la popolazione cominciò a guardarsi intorno, a percepire una realtà non più retorica, ma concreta, fatta di sangue, sofferenze e lutti; cominciò a vedere che non c’era più una scena in cui recitare, ma una realtà in cui vivere, allora cominciò a scendere dal palco e a guardare con astio sempre maggiore  verso il regime e lo stesso Mussolini.
   Cominciarono a circolare barzellette satiriche sul Duce, sull’andamento della guerra e sulle restrizioni alimentari, dato che c’era la fame.Soprattutto ricordo che si diffuse umoristicamente e sotterraneamente per l’occhiuta sorveglianza dei fascisti sfegatati e dell’OVRA la parodia del ritornello della canzone “Vento” di Bixio, per cui anche l’originale venne in qualche modo proibita. Questa diceva:
Vento, vento
Portami via con te
Raggiungeremo insieme il firmamento
Dove le stelle brilleranno a cento
E senza alcun rimpianto
Voglio scordarmi un giuramento
Vento, vento
Portami via con te.
   La parodia cantata invece contro Mussolini diventava:
Vento, vento
Porta
lo via con te
Raggiungere
te insieme il firmamento
Dove le stelle brilleranno a cento
E senza alcun rimpianto
Voglio scordarmi un giuramento
Vento, vento
Porta
lo via con te.
  Ormai “Presenti alle bandiere” non voleva più dire eroi, morti per la patria, per l’onore della nazione. Voleva invece dire uccisi, dilaniati nei luoghi più sconosciuti, dalla Russia all’Africa, in una guerra inutile più di tutte le guerre: voleva dire figli strappati per sempre alle mamme e alle vedove, alle famiglie, agli affetti dei più cari e degli amici. E la loro morte era divenuta insopportabile, non solo per le famiglie ma anche per le comunità, che sotto sotto si mostravano sempre più fredde verso il regime, e che  si andavano sempre più svegliando dall’ubriacatura per il Duce, per le pose bellicose e per il ciarpame della simbologia fascista.