lunedì 24 aprile 2017

Pubblico qui questa poesia tratta dalla mia raccolta
“Pagine dissepolte” recentemente autoedita con Youcanprint.

NEL TRENTENNALE  DELLA  LIBERAZIONE

Soffrimmo in quei giorni di sangue,
Col cuore in piena, per desiderio
Di giustizia e libertà,
per dignità dell’uomo.

Era fiamma in quei giorni
Nelle nostre canzoni la speranza,
Che in noi giovani allora erompeva
Dal buio dei secoli,
Quando agli occhi brama era la luce
Dell’avvenire.

Per i morti anche soffrimmo,
Che pagavano il prezzo della fede
Con un sorriso sull’erba cruenta.
Solo essi si salvarono
Con altri pochi dei vivi:
Il tradimento era sulla soglia del giorno
Già dietro al primo chiarore dell’alba!

Ora oltre le cime dei cipressi
Nuvole irridenti ristagnano,
Su cui appare riflesso
Di sotto alla terra
Il ghigno amaro dei morti impiccati.

E noi, che camminiamo stanchi
Dentro un obliquo benessere,
Chiudiamo gli occhi per non vedere
E le orecchie per non sentire,
Colpevoli d’avere
Per solo  un giorno sperato.

sabato 8 aprile 2017

                                     IL QUARTO ATTACCO AEREO

    Gli attacchi aerei dei giorni precedenti e ancor più l’ultimo con il bombardamento dei depositi delle munizioni per il rifornimento del fronte di Cassino avevano messo in allarme tutto il paese.
   Mio padre già da qualche tempo aveva pensato di non restare in paese al passaggio del fronte e di portarci a Monteflavio, che poteva essere luogo meno pericoloso, perché in montagna e senza sbocco stradale.
   Per questo si era già accordato con un suo amico di quel luogo e con i nostri parenti monteflaviesi originari di Paganico. L’amico ci dava ospitalità per le pecore, messe  accanto alle capre sue in località  Frolleta, i parenti ci avevano messo a disposizione una casa tutta per noi.
  Visti gli attacchi aerei, mio padre non aspettò più il passaggio del fronte, ma il giorno dopo il bombardamento dei depositi di dinamite e  proiettili per cannoni, ci fece fare alcuni preparativi essenziali per andarcene in montagna. Fra l’altro, nascondemmo un po’ di olio e di vino dentro una grotta dell’ex cava di pozzolana nel nostro campo, che poi riempimmo di fascine e terra, in modo da nasconderne l’apertura.
  Il giorno dopo ancora, caricammo le cose necessarie sull’asino e uscimmo dal campo con le pecore. Con nostra grandissima sorpresa, nonostante tutti i nostri richiami insistenti, uno dei cani non volle seguirci: inspiegabile per un cane che non vuole seguire il proprio padrone per stare a guardia del nostro campo, che rimaneva incustodito!
  Risalimmo con le pecore il Risecco e poi,  percorrendo lentamente le scorciatoie, giungemmo alle Frolleta e quindi a Monteflavio. Nonostante tutto, a quel tempo si poteva ancora lasciare il bestiame incustodito nella notte; noi e gli amici caprai infatti lasciammo pecore e capre alle Frolleta e ci ritirammo nelle case a Monteflavio per trascorrervi la notte.
  La mattina dopo, non ricordo bene se il 3 aprile  (sono passati settantuno anni, una vita)  io, mio fratello e gli amici caprai tornammo al caprile. Cercammo di costruirci un riparo con le grosse pietre del luogo, quasi come nelle trincee, ma coperte in qualche modo per ripararci da eventuali schegge di bombe e mitragliamenti aerei. Di tanto in tanto io guardavo il mio paese che vedevo dall’alto della montagna, ma abbastanza vicino da distinguere bene le vie ed ogni casa.
  Verso le dieci, nella mattinata bellissima per il cielo sereno e la luce di primavera, sentimmo tremare la terra e  guardammo nel cielo per capire dove i quadrimotori fossero diretti: nei mesi passati, spesso volavano  verso Fara Sabina, e poi si udivano i bombardamenti cupi e lontani, in direzione di Orte e Terni.
  Ma quel giorno comparvero di nuovo da Montorio. Io li guardai e fu un momento. Il capostormo lanciò un segnale di fumo e subito udii i soliti fischi d’aria e vidi che le bombe cadevano e scoppiavano proprio sul nostro paese, in mezzo alle case.
  Ero stordito, perché cercavo di localizzare le esplosioni, mentre davanti agli occhi mi apparivano i nonni, gli zii e tutti quelli che ancora erano rimasti in paese. Non ricordo più se piangevo, se tremavo, se ero una statua di pietra, di quelle pietre enormi e bucate che mi stavano intorno.
  Il resto, ciò che era avvenuto, i nomi dei morti, li seppi la sera, quando molti del paese se ne vennero come noi a stabilirsi a Monteflavio.