lunedì 9 gennaio 2017

                 IL  NATALE NEGLI ANNI TRENTA
  Ricordo vagamente  il Natale dei miei anni da ragazzo. Ricordo quelli degli anni  nelle scuole elementari, perché nelle aule si doveva costruire il presepe e a noi alunni si chiedeva di portare muschio e qualche rametto di pungitopo con le bacche rosse attaccate ai loro cladodi. Per me era una disperazione, perché la mia campagna era tutta assolata e il muschio non riuscivo a trovarlo.
  Ricordo chiaramente che molti, specialmente le donne, andavano alla novena, soprattutto perché c’era qualche frate predicatore che veniva dal convento dei Passionisti. La predica della novena era qualche cosa d’importante, perché era fatta di racconti, di riferimenti al Vangelo e alla Bibbia, di parole che andavano a toccare gli animi e che incantavano gli ascoltatori. Quasi come in teatro.
  E le novene e le prediche in chiesa forse erano il teatro dei poveri e della gente che neanche sapeva leggere un giornale. Insomma, nelle sere d’inverno, riempivano il vuoto dopo le fatiche dei campi, creavano un mondo immaginario  con la magia delle parole e scuotevano emotivamente gli animi della gente da quel torpore passivo di cui era fatta la rassegnazione alle disgrazie e alle cattive stagioni.
  Allora nelle case non si facevano né presepi né alberi di Natale: i soldi erano rari e le case erano troppo anguste.  Ricordo la cena della vigilia, i giochi e i racconti che avevano il tono delle favole, ma a volte anche di fatti che a noi piccoli incutevano paure. Era una cena povera, che però si allungava con frutta secca, specie con mandorle, perché mio padre aveva nella nostra campagna molti mandorli di diverse varietà, anche quelle col guscio che si rompeva con la semplice pressione delle dita.
  Ricordo però anche i ciocchi nel focolare, la sera della vigilia messi in un gran fuoco per  Gesù Bambino che scendeva dal camino a riscaldarsi. Si creava così un alone fiabesco così fascinoso che noi bambini ci credevamo davvero e restavamo in attesa della visione e del miracolo. Chissà se ci credevano anche le nostre mamme, le nostre zie e le nostre nonne riunite insieme e indaffarate per preparare ciambelline e pangialli con mandorle, fichi secchi e bucce di arance?.
   Per tirare la serata alla lunga c’era anche il gioco della “pilocca” per i più piccoli, con gli spiccioli dentro e noi bendati col pestello in mano. Un gioco che durava  solo poche decine di minuti. Poi le donne andavano alla messa di mezzanotte. E noi ragazzini ci mettevamo intorno al focolare a sbattere le molle nel ciocco per vedere scoppiettare faville lungo il camino. Poi stanchi attendevamo il  ritorno delle donne  tra sbadigli e sonnolenza. Altri tempi, allora, quando non erano pochi quelli che magari avevano un ciocco, ma non avevano gli spiccioli per la “pilocca”  e non avevano molto di più di un pezzo di pane e quattro stracci per coprirsi.