mercoledì 23 marzo 2016

                          ACQUA  E  IGIENE NEGLI ANNI TRENTA 

   Nel nostro paese eravamo fortunati per l’acqua. Allora, negli anni Trenta e Quaranta, non conoscevo le condizioni di altri luoghi e altre popolazioni per l’acqua corrente, ma forse pochi le avevano così floride.
   Noi invece avevamo cinque fontane da cui attingere acqua ed un lavatoio pubblico con tre vasche per insaponare i panni, ripassarli e risciacquarli. Nelle fontane c’era sempre un andirivieni di donne con le conche di rame piene sulla testa, che portavano acqua in casa.
   In casa il posto della conca con l’acqua era nell’acquaio, cioè “a ‘nnu sciacquaturu”. E nella conca, o appeso vicino, sul muro, c’era “u sotellu”, cioè il ramaiolo, con cui ognuno beveva a suo piacimento, senza bisogno di bicchieri.
  Si lesinava su tutto, anche perché c’era davvero poco. A cominciare dalla casa. I più poveri avevano un’unica stanza, la stessa per vivere, per mangiare, per dormire, anche con sette e otto figli. Ed allora di figli se ne facevano molti, a parte la “battaglia demografica” del Duce, e ne morivano anche tanti; una donna ne aveva avuti una ventina, ma gliene erano morti dodici o tredici. Quelli che stavano meglio avevano due stanze, di cui una usata per cucina e pranzo. Solo alcuni avevano più di due stanze per la propria abitazione.
   Comunque in nessuna casa c’era il bagno, cioè non c’era il cesso. Perché non c’era l’acqua corrente, anche se  nella parte nuova del paese c’erano gli scoli per l’acqua piovana. C’era invece un secchio sotto l’acquaio per la raccolta dell’acqua usata, che spesso veniva buttata per la strada. E c’erano invece i “rinali” sotto i letti, cioè i vasi da notte, e il bacile per lavarsi la faccia e le mani. Ma non tutti si lavavano. In verità molti letti erano fatti di tavole con sopra  pagliericci riempiti con le brattee del granturco. Il secchio sotto l’acquaio consentiva il recupero della sciacquatura dei piatti, che veniva riciclata per il beverone dei maiali, custoditi nei “fratticci”; erano molte le famiglie che allevavano un proprio maiale e lo custodivano in un proprio “fratticciu”.
  La pulizia personale era un bel problema, che però proprio non si poneva affatto come problema. Pareva del tutto naturale lavarsi solo la faccia e qualche volta, ma solo qualche volta, anche tutto il corpo, con la “bagnarola” in mezzo a una stanza.
  Che non fosse un problema era un’idea che veniva da lontano, forse dal medioevo. Forse da certe prediche, di cui ancora si sentiva l’eco.  Perché bisognava curarsi l’anima e non il corpo, che era fonte di peccato, specialmente se si faceva il bagno. Come anche era fonte di peccato il corpo delle donne, che andava coperto sino al capo, ornato con fazzoletti legati sotto al mento come ancora si vedono nei quadri delle Madonne, ed oggi anche in molte delle islamiche immigrate.
  Ricordo che un vecchio prete, verso il 1960, mi diceva che il sapone era uno strumento del diavolo. E ricordo un vecchio del mio paese che si vantava di lavarsi la faccia ogni settimana, perché gliela lavava il barbiere col pennello facendogli la barba.
    Ed erano normali i pidocchi delle bambine e le pulci e le cimici nei letti. Oggi sembra incredibile. Anzi penso che per i giovani di oggi queste cose siano proprio incredibili; e non possono immaginare di vedere  mamme spidocchiare i capelli delle figlie e schiacciare i pidocchi fra le unghie dei pollici anche nelle strade, come era comune allora e come era naturale per noi ragazzi.
   La pulizia personale non era un problema, come invece era per gli antichi romani, che non potevano vivere senza il bagno quotidiano. E come è per gli islamici, per i quali l’abluzione del corpo è purificazione rituale obbligatoria, sia nella forma di abluzione minore che in quella di abluzione maggiore, cioè con il bagno completo.
  C’era anche da noi una specie di “abluzione rituale”, ma riguardava la casa e si svolgeva con le cosiddette “pulizie” di Pasqua. Infatti a Pasqua le donne pulivano le case a fondo e le più giovani spiccavano i rami dalle pareti della cucina, li portavano nella strada vicino le fontane e li lucidavano con la pozzolana, sicché per asciugarli ne facevano spettacolo  per tutto il giorno, anche per mostrare una certa loro agiatezza nei confronti dei meno agiati e dei più poveri. Il mondo allora era fatto anche di queste miserie; ma in fondo oggi non è cambiato, perché si mostrano auto, orologi ed altro ancora con lo stesso sentimento d’allora per i rami.
  L’igiene però non riguardava solo strettamente le persone e specialmente i bambini mandati in giro a giocare per la strada col sederino nudo sotto gli abitini comuni sia per maschi che per le femminucce, per cui era normale che avessero le pancine infestate dai vermi e ne morissero tanti per le infezioni.
   L’igiene riguardava anche le bestie, cioè le galline, i somari, i cavalli, i buoi, ecc. custoditi nelle stalle accanto alle case, con il relativo letame e le mosche, i tafani ed anche le zecche e le pulci dei cani e dei gatti. Per questo di tanto in tanto usciva qualche ordinanza per l’ allontanamento delle bestie dalle case, ma restavano sempre disattese, proprio come le gride manzoniane. Anche quando furono costruiti nei “Carpini” le “cascine” per le vacche” e i “fratticci” per i porci, per qualche asino e per le galline. Fino a che sono venuti i trattori e sono scomparsi gli asini e i buoi e pure le galline.

   Però io non sono affatto convinto che le macchine siano più pulite delle bestie: certamente non sono ecologiche come gli animali.

venerdì 4 marzo 2016

Pubblico qui la poesia Marzo tratta dal mio "POESIE PER LA SCUOLA"
edito da Youcanprint
        MARZO

O Marzo,
Ti dicono pazzo
Perché il tuo viso
Fatto di cielo e di nuvole
Ora s’imbroncia,
Ora ha un sorriso.

Ma io so che mi porti
Un cielo sereno che svaria,
Tante rondini,
Tanti fiori che sbocciano
E profumano l’aria.

Perciò ti voglio bene,
O Marzo,
E ti sorrido allegro
Come sei tu
Un po’ pazzo di gioia.