martedì 6 ottobre 2015

                     LE  MANIFESTAZIONI  PER  LA VISITA DI HITLER

  Quando doveva arrivare Hitler a Roma, si diffuse nel mio paese molto entusiasmo fra i fascisti, ma anche qualche timore fra coloro che fascisti non erano, e anche qualche sordo risentimento fra coloro che avevano combattuto nel  ’15 – ’18, cioè quelli che io sentivo ancora raccontare nelle barberie la vita in trincea e le battaglie della Conca di Plezzo, del Monte Nero, di Caporetto e del Piave.
   L’entusiasmo era sollecitato dalla propaganda radiofonica e da quella sui giornali con  titoloni a otto colonne, che gridavano l’annuncio dell’arrivo del grande Alleato dell’Italia, quasi si fosse in attesa dell’arrivo di un messia.
   Ricordo che i fascisti locali, specialmente il segretario e i componenti del direttorio del fascio, si davano un gran daffare per organizzare la partecipazione delle camicie nere e delle donne in costume alla manifestazione a Roma  in onore del Fuhrer.
   Molte erano le donne in subbuglio, non perché animate dallo spirito fascista, ma perché solleticate dal poter apparire vestite nei costumi ottocenteschi del nostro paese, così ricchi di motivi ornamentali e di colori sgargianti. Alcune vennero anche da mia nonna materna per avere un lussuoso vestito in raso, che essa custodiva gelosamente in una cassa di legno.
   La mattina in cui ci doveva essere la manifestazione a Roma, ci fu una grande adunata in piazza, sia delle camicie nere e delle giovani italiane, tutti in divisa, sia delle donne, tutte  in costume. Partirono tutti in un tripudio di inni, di gagliardetti, di entusiasmi, mi pare su dei camion, se ricordo bene.
   La sera, quando tornarono, nel paese sembrava festa; ma a casa mio padre andava dicendo: E’ tutta una carnevalata! E’ tutta una carnevalata! Ed io mi sentivo in disagio per questo, perché mi piaceva la gente in tripudio e non capivo perché in mio padre ci fosse quella sorda disapprovazione; ed ero disorientato nei sentimenti da seguire.
   Ero ragazzo,  non potevo capire i giudizi negativi espressi nascostamente da mio padre, come dopo qualche giorno non potevo capire quando si mormorò che due giorni prima dell’arrivo di Hitler erano stati messi provvisoriamente in carcere alcuni vecchi comunisti di Monterotondo, per prevenire qualche loro manifestazione o attentato nella stazione. Rimanevo interdetto, perché io  ero troppo ragazzo per sapere che il popolo di Monterotondo era irriducibilmente antifascista, anche allora che il Duce poteva vantare il trionfo del suo impero di Etiopia.
  Dopo questi avvenimenti, ricordo che un certo tempo dopo qualche cosa mi turbò, senza che ne potessi capire una ragione. Dalla finestra di casa vidi la guardia che chiedeva i documenti ai girovaghi di un circo per verificare se fossero per caso ebrei. Infatti si diffuse subito la voce che i fascisti cercavano gli ebrei per espellerli dall’Italia. Era la prima volta che sentivo parlare degli ebrei e non sapevo immaginare se fossero delinquenti. Però si parlava di razza ebraica e di problema della razza.
   Di questo problema della razza, allora  mi ricordavo che qualche tempo prima avevo letto sul giornale esortazioni  agli italiani in Abissinia di astenersi di avere rapporti con le donne abissine e raccomandazioni per la conservazione della purezza della razza.
  Ora però sentivo che quello degli ebrei era un problema molto più grave, per cui anche la guardia comunale era chiamata ad accertarsi se i forestieri giunti in paese fossero o no degli ebrei. Si diceva allora dalla gente che c’era un indizio da verificare, e cioè se il cognome loro fosse il nome di un luogo, specialmente di una città, poiché gli ebrei avevano tutti per cognome il nome di un paese o di una città; ma certamente questa era un’idea strampalata, messa in giro da gente ignorante.