sabato 17 marzo 2018


Pubblico qui di seguito questa poesia tratta dal mio
PAGINE DISSEPOLTE auto edito da Youcanprint.

LA BEFANA E BABBO NATALE
 (Composi questa mia poesia ironica nel 1977, quando negli atenei ancora si discuteva del sei politico, da tre anni erano in vigore i Decreti Delegati Malfatti, fu soppressa la festa dell’Epifania, ed io insegnavo nella scuola elementare)

Soffia il vento nella notte:
Dentro il mondo scuro scuro
Chi si arrampica sul muro?
Chi cammina quatto quatto
Sulle gambe come un gatto
Sulle tegole del tetto?
                  Soffia il vento nella notte!

Forse, forse è la Befana,
La Befana della nonna,
Che va in cerca del camino
Per portare ad un bambino
I suoi doni nelle calze,
Nelle calze a buchi e a toppe?
                 C’è la luna nella notte!

Sulla scopa va la Vecchia,
Va la Vecchia brutta e nera;
Cerca, cerca sopra il tetto,
Ma non trova il caminetto
Per discendere al lettino,
Dove un bimbo sogna e dorme.
                Stan le stelle nella notte!

Brutta strega, la Befana
Sa i cattivi e quelli buoni,
Riconosce quelli attenti,
Quelli bravi nella scuola
Ed a questi porta i doni,
Ma a quegli altri, ai più cattivi
Porta cenere e carboni
Nelle calze a buchi e a toppe.
                    Punge il gelo nella notte!

Brutta strega, vecchia, antica,
Tutta rughe, senza denti,
Tutta occhi sempre intenti
A guardare chi fa bene,
A guardare chi fa male,
Per portare al più birbone
Solo cenere e carbone
Nelle calze vecchie e rotte!
                  Gufa il gufo nella notte!   

Fuori! Fuori la Befana,
La vecchiaccia d’altri tempi!
Dalle case sia bandita!
Non vogliamo ch’essa giudichi
Chi fa bene e chi fa male,
Non vogliamo che il più buono
Sia distinto dal furfante!
                  Va la volpe nella notte.

Siamo uguali e non vogliamo
Che al pigrone, che al cattivo
Venga detto che sia tale,
E vogliamo che chi studia
E sui libri sgobba assai
Al somaro resti uguale.
                Tutto tace nella notte.

Fuori! Fuori! La Befana
Sia beffata, sbeffeggiata,
Sia derisa, sbertucciata,
Sia schernita, sia bandita,
Maltrattata, sia punita,
Sia punita con le botte,
Sia cacciata in una tana
Con la testa e le ossa rotte!
              Soffia il vento nella notte.

Venga qui Babbo Natale,
Che col candido barbone
Assomiglia ad un caprone!
Sarà sempre applaudito,
Perché vecchio e rimbambito
Non distingue il più poltrone,
Non distingue il buono a nulla,
Porta i doni a tutti quanti,
Sia ai buoni che ai birbanti!
               Venga qui col suo mantello,
               Suoni, suoni il campanello.  

Venga, venga, e qui ci vuoti
Tutto intero il suo gran sacco:
Tu ti prendi quel cartoccio,
Io mi prendo quel gran pacco,
Lui si prende quel fantoccio,
Quel si prende il suo trenino.
Con lui sì che siamo amici,
Siamo uguali e anche felici!
                Venga presto dal monello,
                 Suoni, suoni il campanello!

Che c’importa, che c’importa
Se ci credono marmocchi
Tutti furbi e intelligenti?
Siamo ormai tutti Pinocchi
Nel paese dei balocchi,
Senza voti né qualifica,
Con soltanto la verifica
Nel rapporto con noi stessi:
Sia piccini che più grossi
Siamo ormai tutti promossi!
                 Suoni, suoni il campanello,
                 Ché gli apra quel monello!

Venga ognor Babbo Natale
Con quel candido barbone,
Col faccione gioviale,
Con l’aspetto di caprone!
Viva! Viva! Ci voleva
Un signore cosiffatto,
Un signore mentecatto,
Un signore che non vede
Ora il mondo com’è fatto!
                Venga presto dal monello,
                Suoni, suoni il campanello!

Venga qui Babbo Natale,
Qui nel mondo degli uguali,
Coi suoi doni si cancelli
Ogni segno di bravura,
Che il più sveglio lo gratifica
E il pigro lo mortifica:
Siamo tutti a una misura
Per rispetto della logica,
A dispetto del buonsenso
Che ci dona la natura!
               Venga presto dal cancello,
               Suoni, suoni il campanello!

Ma via vada questo falso
Giramondo di babbeo,
Che confonde col Natale
Lo scherzoso Carnevale!
Lasci il mondo tale e quale
Con i doni per i ricchi
E la fame dentro agli occhi
Dei più poveri; e non tocchi
Nelle tasche di chi ha
Qualche cosa, in carità!
             Suoni pure il campanello,
              Ma via vada quel cialtrone
              Col suo stupido cappello!

Vada, vada e a tutti dica:
Viva, viva i marmocchini!
Viva, viva i più cretini!
Viva, viva il fannullone
E chi vive e non lavora,
E chi in testa non ha idee
O le manda alla malora!
Dica, dica: Noi fondiamo
Una nuova società,
Che ha il suo fine nel progresso
Della nostra asinità!
                 Entri pure quel cialtrone,
                 Avrà calci nel sedere
                 E legnate sul groppone!           


domenica 11 marzo 2018


                  SCUOLA  LIBERTÀ  PERMISSIVISMO E…

   Leggo e ascolto notizie sulla scuola. Aggressioni di genitori ed allievi a maestre e professori, denunce, processi, fatti variamente incresciosi. Sbalordisco, mi si accappona la  pelle di vecchio alunno, maestro, direttore didattico.
   Mi tornano in mente ricordi e immagini: col mio grembiule come alunno, come maestro fra i banchi delle aule ad insegnare, come direttore didattico con maestri e maestre che venivano da me per espormi i più svariati problemi educativi che avevano  con i loro alunni, nonché per chiedere permessi e congedi, in un ambito di intesa, di collaborazione, di legalità mai arcigna.
   Non era sempre così, non erano sempre rose, affioravano qualche volta malcontenti e brevi e piccole discordie. Ma la scuola era la scuola! Le famiglie erano ai margini, quasi come sul sagrato, sui limiti di rispetto per la scuola, verso cui avevano stima, contribuendo con atteggiamenti ed esempi a valorizzarne l’opera educativa, esprimendo  ossequio e gratitudine verso coloro che operavano per educare e migliorare i loro figli.
  Infatti allora la scuola doveva essere ed era un ambiente educativo sereno, in cui gli alunni dovevano e potevano avere fiducia, per avere poi fiducia da grandi anche nella società e nello Stato. Infatti, quando un insegnante entrava in aula, essi si levavano in piedi, ammutolivano in segno di rispetto. E gli insegnanti potevano ed avevano l’obbligo di  richiamarli all’ordine, alla buona educazione, all’igiene della persona, alle norme di comportamento e all’apprendimento, poiché era loro assegnato prima di tutto un compito educativo.
  Questa era la scuola in cui gli alunni dovevano acquisire soprattutto il senso di responsabilità con i loro apprendimenti e  comportamenti verso se stessi, verso la società e verso lo Stato, per diventare persone responsabili e cittadini liberi.
   Questa era la scuola dentro una società che poggiava su capisaldi  quali la libertà, la responsabilità, la comunità.
   In riferimento alla libertà, oggi non mi pare che nella società ci sia la libertà di cui tutti cianciano; mi pare invece che ci sia la licenza, che troppi scambiano per libertà. E ciò si riflette nella scuola in cui famiglie ed alunni credono che gli operatori scolastici stiano alle loro dipendenze anziché al servizio dello Stato.
   In riferimento alla responsabilità, oggi non mi pare che si sentano esigenze di responsabilità, invece sono troppi quelli che esigono l’irresponsabilità nella permissività, l’ambiguità morale nella licenza. E a noi, usciti dalla Resistenza e dalla vecchia scuola, la licenza e il permissivismo educativo e sociale al posto della libertà e della responsabilità dolgono, fanno davvero male.
    In riferimento alla comunità, si può affermare che essa sia davvero venuta meno. Una volta  si    parlava di società educante. Ma la società è divenuta “liquida”, come dice un grande sociologo, almeno è divenuta “sfarinata”, come a me piace dire. Infatti non può esserci una comunità se s’impone un  modo individualistico di vita, se ognuno pretende che gli altri siano a suo servizio, che il rapporto con gli altri sia nell’indifferenza, se  gli altri siano comunque e sempre controparte, avversari, addirittura nemici. E ciò si riflette assai negativamente sulla vita e sull’opera della scuola.
   Se non c’è comunità non ci può essere educazione. Perciò da alcuni decenni coloro che possono hanno voluto l’istruzione, poi, peggio, hanno voluto la formazione, ed hanno parlato sempre meno di educazione.
   Senza educazione prevalgono gli egoismi e si mettono gli uni contro gli altri, la famiglia contro la scuola,  gli individui contro la comunità, contro le regole della comunità e della società, e, alla fine, le leggi dello Stato sono ostacoli da aggirare, da eludere, se non da contrastare.
  Senza la comunità, senza il senso di responsabilità non si dà valore alla libertà e non c’è futuro. Non c’è futuro per la scuola né per l’educazione, non c’è futuro per i giovani né per il popolo, Con le contrapposizioni dentro la scuola,  con l’istruzione  senza l’educazione non c’è futuro per il bene del popolo;  c’è solo il futuro per i pochi, i pochi che hanno e che possono perché hanno.
  Se si vuole indebolire e neutralizzare l’opera educativa della scuola con la false  e ipocrite motivazioni della sua democratizzazione e dell’affermazione della libertà degli alunni, si finisce col corrodere concretamente la democrazia, col tradire le nuove generazioni rese più facilmente manipolabili e col minare la solidarietà che caratterizza una  vera comunità. È davvero troppo!