LE MANIFESTAZIONI PER LA
VISITA DI HITLER
Quando doveva arrivare Hitler a Roma, si
diffuse nel mio paese molto entusiasmo fra i fascisti, ma anche qualche timore
fra coloro che fascisti non erano, e anche qualche sordo risentimento fra
coloro che avevano combattuto nel ’15 –
’18, cioè quelli che io sentivo ancora raccontare nelle barberie la vita in
trincea e le battaglie della Conca di Plezzo, del Monte Nero, di Caporetto e
del Piave.
L’entusiasmo era sollecitato dalla
propaganda radiofonica e da quella sui giornali con titoloni a otto colonne, che gridavano
l’annuncio dell’arrivo del grande Alleato dell’Italia, quasi si fosse in attesa
dell’arrivo di un messia.
Ricordo che i fascisti locali, specialmente
il segretario e i componenti del direttorio del fascio, si davano un gran
daffare per organizzare la partecipazione delle camicie nere e delle donne in
costume alla manifestazione a Roma in
onore del Fuhrer.
Molte erano le donne in subbuglio, non
perché animate dallo spirito fascista, ma perché solleticate dal poter apparire
vestite nei costumi ottocenteschi del nostro paese, così ricchi di motivi
ornamentali e di colori sgargianti. Alcune vennero anche da mia nonna materna
per avere un lussuoso vestito in raso, che essa custodiva gelosamente in una
cassa di legno.
La mattina in cui ci doveva essere la
manifestazione a Roma, ci fu una grande adunata in piazza, sia delle camicie
nere e delle giovani italiane, tutti in divisa, sia delle donne, tutte in costume. Partirono tutti in un tripudio di
inni, di gagliardetti, di entusiasmi, mi pare su dei camion, se ricordo bene.
La sera, quando tornarono, nel paese
sembrava festa; ma a casa mio padre andava dicendo: E’ tutta una carnevalata!
E’ tutta una carnevalata! Ed io mi sentivo in disagio per questo, perché mi
piaceva la gente in tripudio e non capivo perché in mio padre ci fosse quella
sorda disapprovazione; ed ero disorientato nei sentimenti da seguire.
Ero ragazzo, non potevo capire i giudizi negativi espressi
nascostamente da mio padre, come dopo qualche giorno non potevo capire quando
si mormorò che due giorni prima dell’arrivo di Hitler erano stati messi
provvisoriamente in carcere alcuni vecchi comunisti di Monterotondo, per
prevenire qualche loro manifestazione o attentato nella stazione. Rimanevo interdetto,
perché io ero troppo ragazzo per sapere
che il popolo di Monterotondo era irriducibilmente antifascista, anche allora
che il Duce poteva vantare il trionfo del suo impero di Etiopia.
Dopo questi avvenimenti, ricordo che un certo
tempo dopo qualche cosa mi turbò, senza che ne potessi capire una ragione.
Dalla finestra di casa vidi la guardia che chiedeva i documenti ai girovaghi di
un circo per verificare se fossero per caso ebrei. Infatti si diffuse subito la
voce che i fascisti cercavano gli ebrei per espellerli dall’Italia. Era la
prima volta che sentivo parlare degli ebrei e non sapevo immaginare se fossero delinquenti.
Però si parlava di razza ebraica e di problema della razza.
Di questo problema della razza, allora mi ricordavo che qualche tempo prima avevo
letto sul giornale esortazioni agli
italiani in Abissinia di astenersi di avere rapporti con le donne abissine e
raccomandazioni per la conservazione della purezza della razza.
Ora però
sentivo che quello degli ebrei era un problema molto più grave, per cui anche
la guardia comunale era chiamata ad accertarsi se i forestieri giunti in paese
fossero o no degli ebrei. Si diceva allora dalla gente che c’era un indizio da
verificare, e cioè se il cognome loro fosse il nome di un luogo, specialmente
di una città, poiché gli ebrei avevano tutti per cognome il nome di un paese o
di una città; ma certamente questa era un’idea strampalata, messa in giro da
gente ignorante.