PRESENTI ALLE
BANDIERE
“Presenti alle bandiere”. Era questa una
ridondante enunciazione retorica. Ma triste. Luttuosa. Il significato nudo e
crudo era: "Uccisi in guerra". Nella seconda guerra mondiale.
Ogni mattina io compravo il giornale per mio
padre, che però anche io leggevo ogni
giorno da cima a fondo e, inevitabilmente, in prima pagina, quasi sempre al
centro, leggevo uno specchietto statistico intitolato appunto “Presenti alle
bandiere” e poi di seguito: "Fronte russo" seguito dal numero dei morti; "Fronte jugoslavo" seguito dal numero dei morti; "Fronte libico" seguito dal numero dei morti.
Quel che più mi sorprendeva in quel
trafiletto era il fronte jugoslavo col numero dei morti frequentemente più alto
di quello del fronte libico. Non sapevo spiegarmelo, giacché la Jugoslavia era
già stata conquistata dal nostro esercito: invece vi era sempre un certo numero di nostri soldati
uccisi che indicava uno stato di guerra.
Lo capii ascoltando i racconti dei soldati
compaesani che tornavano in licenza da quel fronte, cioè da tutta la
Jugoslavia, perché il fronte non c’era, ma la guerra c’era dovunque. C’era la
guerra partigiana, che le popolazioni slave conducevano contro gli invasori,
cioè contro le nostre truppe che avevano invaso le loro terre.
Una guerra condotta raramente con attacchi
frontali, ma con agguati tesi nei momenti e nei luoghi più adeguati e con
frequenti sabotaggi delle vie di comunicazione, cui le nostre truppe reagivano
fucilando chiunque si fosse trovato nelle zone degli agguati e bruciando le
case, paesi interi con vecchi e bambini, non diversamente da come poi fecero da
noi i tedeschi, quando reagimmo con la guerra partigiana alla loro occupazione
del nostro paese nel 1943/44/45.
“Presenti alle bandiere” era una delle tante
espressioni retoriche in cui eccellevano i fascisti sulle orme di Mussolini,
che se ne poneva al centro col definirsi Duce, che dichiarava come “nuova era”
il tempo del fascismo e col porsi in continuità
con lo spirito e la grandezza della Roma di Cesare.
In fondo tutto il fascismo era una
figurazione retorica, non solo con gli orpelli delle divise, ma con tutti gli
atteggiamenti pseudo atletici e pseudo guerreschi, a cominciare dal ciarpame
dei simboli con teschi e pugnali per finire con il cosiddetto passo romano.
Ma i fatti erano altri. Ed erano tragici.
Finché tutto si era limitato alle manifestazioni guerraiole, alle sceneggiate
delle adunate, ai roboanti discorsi dai diversi balconi d’Italia, la popolazione
si era entusiasmata alle partecipazioni rituali dei cortei e delle ovazioni
come su un palco del teatro pirandelliano.
Poi però con la guerra, le cannonate, i
bombardamenti, le sofferenze e i morti, cioè con i “Presenti alle bandiere”, la
popolazione cominciò a guardarsi intorno, a percepire una realtà non più
retorica, ma concreta, fatta di sangue, sofferenze e lutti; cominciò a vedere
che non c’era più una scena in cui recitare, ma una realtà in cui vivere,
allora cominciò a scendere dal palco e a guardare con astio sempre maggiore verso il regime e lo stesso Mussolini.
Cominciarono a circolare barzellette
satiriche sul Duce, sull’andamento della guerra e sulle restrizioni alimentari,
dato che c’era la fame.Soprattutto
ricordo che si diffuse umoristicamente e sotterraneamente per l’occhiuta
sorveglianza dei fascisti sfegatati e dell’OVRA la parodia del ritornello della
canzone “Vento” di Bixio, per cui anche l’originale venne in qualche modo proibita.
Questa diceva:
Vento, vento
Portami via con te
Raggiungeremo insieme il firmamento
Dove le stelle brilleranno a cento
E senza alcun rimpianto
Voglio scordarmi un giuramento
Vento, vento
Portami via con te.
Portami via con te
Raggiungeremo insieme il firmamento
Dove le stelle brilleranno a cento
E senza alcun rimpianto
Voglio scordarmi un giuramento
Vento, vento
Portami via con te.
La parodia cantata invece contro Mussolini
diventava:
Vento, vento
Portalo via con te
Raggiungerete insieme il firmamento
Dove le stelle brilleranno a cento
E senza alcun rimpianto
Voglio scordarmi un giuramento
Vento, vento
Portalo via con te.
Portalo via con te
Raggiungerete insieme il firmamento
Dove le stelle brilleranno a cento
E senza alcun rimpianto
Voglio scordarmi un giuramento
Vento, vento
Portalo via con te.
Ormai “Presenti alle bandiere” non voleva più
dire eroi, morti per la patria, per l’onore della nazione. Voleva invece dire
uccisi, dilaniati nei luoghi più sconosciuti, dalla Russia all’Africa, in una guerra
inutile più di tutte le guerre: voleva dire figli strappati per sempre alle
mamme e alle vedove, alle famiglie, agli affetti dei più cari e degli amici. E
la loro morte era divenuta insopportabile, non solo per le famiglie ma anche
per le comunità, che sotto sotto si mostravano sempre più fredde verso il
regime, e che si andavano sempre più
svegliando dall’ubriacatura per il Duce, per le pose bellicose e per il
ciarpame della simbologia fascista.