FRUTTA E… TECNICA
Sono stato al mercatino dei coltivatori. Ora
ho sul tavolo alcuni cestini di frutta raccolta a pochi chilometri dal luogo di
consumo. Frutta di colori vivi e morbidi, soprattutto di aromi sottili come li
sentivo nel mio campo, quando coglievo le pesche vellutate quali il Trionfo,
innestate da mio padre su portainnesti di mandorli.
Colori, sapori, morbidezza, aromi che mi
richiamano sensazioni e che mi offrono motivi per considerazioni, raffronti,
sentimenti, idee, tutti insieme confusi nell’animo, ma progressivamente sempre
chiari nella mente.
Altri tempi, altre stagioni, ma soprattutto
altri mesi. Già, altri mesi. Ricordo che quando fu proclamata la Repubblica,
noi cogliemmo gli ultimi quintali di cerase, che dal campo io riportai con i
bigonci caricati sull’asino in paese, per essere vendute ai bagarini, che nella
notte le avrebbero portate a vendere a Roma con i carretti. Erano gli ultimi
quintali di “Ravenne tardive”, giacché le altre varietà precoci erano state
raccolte giorni prima.
Ricordo che in uno degli anni Sessanta, mia madre mi lasciò una pianta
intera carica di cerase “Ravenna tardive” nell’ultima settimana di giugno,
quando la raccolta era stata già termina almeno da quindici giorni, perché io
ne potessi mangiare, tornando in vacanza nel mio paese; molte erano cadute per
eccessiva maturazione, ma molte altre io e mia moglie le mangiammo dolcissime e
fragranti.
Altre stagioni, altre varietà. E oggi, ventisette luglio, ho davanti a
me le cerase: le “Ferrovia”, i “Duroni”, ecc. Qualche anno fa, a Ravenna, ebbi
un soprassalto, quando al mercatino dei coltivatori vidi in vendita, ad agosto
inoltrato, sportine di albicocche freschissime. Strano. Quando facevo il
contadino, le albicocche si raccoglievano a giugno e ai primi di luglio, se non
sbaglio.
Strano! Ma oggi niente è più strano. Non basta la globalizzazione dei
mercati. Interviene nell’agricoltura la biotecnologia. Ricordo che i carciofi
allora si raccoglievano a maggio tra i filari delle vigne, saporitissimi e
profumati di sole, ma ora si raccolgono a febbraio, teneri e grossi quasi come
meloncini, ma scialbi. Ricordo che l’uva si cominciava a mangiare nel mese di
settembre, ma ora già si vede sul mercato a luglio e abbiamo i pomodori tutto
l’anno fatti crescere e maturare nelle serre al calore delle fiammelle di gas.
Ricordo che mio padre ricorreva agli innesti per avere varietà di frutti
più belli, più buoni e più redditizi. Ora con le nuove tecniche gli agricoltori
ottengono pesche colorite, rosse già allo stato acerbo, sicché quando si
comprano, invece di mangiarle, ci si potrebbe giocare alle bocce. I mercati
hanno rifiutato varietà di pesche profumate e meravigliose a causa della
delicatezza della buccia, soggetta a facili ammaccature; le hanno sostituite
con varietà la cui buccia sembra cuoio al morso e alla masticazione. Io che ero
abituato a mangiare ogni frutta con la buccia, appena staccata dai rami, non ne
posso più di queste bucce coriacee che non riesco a deglutire.
D’altra
parte gli acquirenti, generalmente, non chiedono più l’acquisto di varietà
specifiche di questa o quella frutta, tanto che spesso indicano ogni frutto solo col suo nome generico: la pesca (non la
pesca Nettarina o la pesca Uccello Rosso) la ciliegia (non la ciliegia Ravenna
o Vignola) la mela (non la mela Rosa o Limoncella o Deliziosa). Hanno perso il gusto delle particolarità del
frutto con piccoli difetti ma esposto al sole e ricco di sapori, per cui richiedono
invece frutti con belle forme e colori vistosi, frutti levigati come gli
oggetti usciti dalle fabbriche, perché ormai hanno perso il piacere delle
particolarità ed anche delle imperfezioni della natura, e sono attratti dalla
regolarità artefatta delle cose uscite di fabbrica, tutte della stessa
grandezza, tutte della stessa forma e colore, come se fossero palline colorate
o tappi o bottiglie anziché cose naturali da mangiare.
Comunque questo non pare un problema, poiché l’aspetto economico è
quello più importante per chi vende e per chi acquista. Dietro l’aspetto
economico ci sono altri aspetti non meno importanti nella dimensione culturale;
ma di questa dimensione in un mondo materialista e massificato pare che a nessuno
realmente interessi.