venerdì 1 gennaio 2016

                                             STRASCICHI E STRAZI DI GUERRA

  La fine della guerra non fu la fine delle pene e delle disgrazie. Non solo per i nostri ricordi.  Rimasero le rovine e i lutti. Ma anche  le ferite di dentro, le esperienze più brutte e le lacerazioni emotive. In fondo non eravamo più gli stessi di prima della guerra e neanche di prima dell’otto settembre.
  Quando noi tornammo da Monteflavio, vedemmo prima le rovine materiali: qualche casa colpita nel bombardamento, la curva a gomito, quella che noi dicevamo di Cesare Morelli, vicino alla “Fontanella”, saltata per le mine dei tedeschi. Poi cominciammo a conoscere disavventure e disgrazie di molti compaesani.
  Comunque la guerra nel nostro territorio era davvero finita.  Ma continuava nella mente di un mio vicino di casa appena ventenne. Lo scoprimmo quando per la strada  gridava: Bum! Bum! Baang! Beeeng! Era già capitato a molti nella prima guerra mondiale. E non erano guariti, ed erano detti “scemi di guerra”.
  Aveva la mente sconvolta dagli scoppi delle bombe. Nei giorni del passaggio del fronte di guerra era andato a Palombara, e passò per il Ponte di Stazzano, allorché alcuni bombardieri bimotori inglesi del tipo leggero vi sganciarono bombe da due o più quintali per abbattere il ponte  e impedire la ritirata alle truppe tedesche, ma non riuscirono a centrarlo.
  Una di quelle bombe gli scoppiò vicino, fece una buca enorme, e  la terra scavata quasi lo seppellì. Ne uscì vivo, ma con la mente sconvolta. Da quel momento non faceva che ripetere senza sosta: Bum! Bum! Baang! Beeeng!
  I genitori consultarono i migliori neuropsichiatri, lo fecero visitare nelle cliniche più qualificate di Roma, ma continuò a ripetere ovunque si trovasse: Bum! Bum! Baang! Beeeng! Finché lo ricoverarono nel manicomio di Santa Maria della Pietà su Monte Mario.
  Nel ’49 andai a fargli visita assieme al fratello. Ci fecero entrare in una sala grandissima, affollata di malati. Lo trovammo, ci venne incontro e ci salutò. Ci guardò, mi riconobbe e apparve normale, parlammo anche. Poi sottovoce mi disse: Gi’, io lo so che sono diventato matto! Mi venne il gelo a quelle parole. Capii che rivedendomi si era emozionato e per un momento gli era tornata la ragione. Ma fu solo un momento, perché dopo qualche minuto ricominciò: Bum! Bum! Baang! Beeeng!
Tornai a casa sconvolto. Non solo i morti, non solo i campi di concentramento, i feriti e i mutilati. Anche questo poteva volere e significare una guerra.

   Ma la gente dimentica facilmente. Per la gente la guerra è come un temporale. Ha paura  e cerca ripari. Ma appena passati i fulmini e torna il sereno si rimette al lavoro, canta, ride e si diverte. Così alla prima festa, quando ancora si avvertiva nell’aria l’odore e il rumore della guerra, si ricominciò a fare i fuochi pirotecnici. E i colpi dei petardi ritornarono ad essere segni di gioia. Ci si capisce ben poco in questo mondo e con la gente! 

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