LUCREZIO
Non di
rado la parola atomo mi richiama alla mente Lucrezio. Non Epicuro, Democrito,
Leucippo, ma proprio Lucrezio. Perché di questi altri filosofi atomisti ebbi
notizie dopo, quando cominciai a
studiare la storia della filosofia per prepararmi all’abilitazione magistrale.
Lucrezio invece l’avevo letto in parte, senza capire che ben poco del
suo discorso filosofico. D’altra parte l’avevo comprato scorrendo il catalogo di Sonzogno:
non so con quale criterio scelsi il suo “Della
natura delle cose” assieme a “Le nove
muse” di Erodoto, a “Le vite degli
uomini illustri” di Plutarco, pubblicati
nella Biblioteca Classica Economica.
Li avevo comprati a mezzo conto corrente
postale con la miseria dei miei risparmi, privandomi di ogni pur piccola spesa
voluttuaria, per leggerli al pascolo con le pecore o la sera dopo cena, come
faceva mio padre con la “Divina Commedia” e con “Orlando furioso”.
Li avevo comprati forse all’inizio della
seconda guerra mondiale, perché volevo studiare, anche se non potevo andare
alle scuole di Roma o di Tivoli, dove bisognava sostenere le spese per un collegio o un alloggio in pensione. Compravo
libri, ma non sapevo neanche come e che
cosa si dovesse studiare. Per questo poi mi sono abituato a leggere più i testi che i manuali: un gran numero di
libri, specialmente di autore classici, poi anche libri di saggi, fra cui non
pochi di filosofia.
Dunque, quasi ogni volta che mi capita, la
parola atomo mi richiama Lucrezio per quel libro. Ma Lucrezio mi
richiama anche mio cugino che allora si faceva frate e studiava in seminario.
Il padre l’aveva mandato in un convento di frati, ma solo per il tempo
necessario per conseguire un titolo di studio, non per farne un uomo di chiesa.
Era quello il modo usato in quel tempo da alcuni paesani che avevano
l’ambizione di far studiare i figli senza averne le condizioni economiche sufficienti
per sostenere le spese del collegio o di pensionato presso qualche famiglia a
Roma o a Tivoli, dove erano le scuole oltre le elementari.
Ma poi, nella vita conventuale, mio cugino
sentì la vocazione per la vita religiosa e, per quanto suo padre cercasse di
distoglierlo, si confermò sempre più nella sua volontà sacerdotale, sia
proseguendone gli studi sia acquisendone la solita mentalità illiberale e
intollerante.
Un giorno che era tornato a salutare la
nostra nonna materna, cui eravamo davvero ambedue affezionati, conversammo un
po’, anche perché sapeva che io avrei voluto studiare e che leggevo dei libri.
S’interessò soprattutto a ciò che io andavo leggendo, tanto più che egli oltre
a frequentare il liceo, era più grande di me di alcuni anni e sentiva la
capacità di guidarmi.
Quando seppe che stavo leggendo Lucrezio,
come vero frate, cercò subito di persuadermi a non leggerlo, poi, vedendo la
mia determinazione, assunse il piglio proibitivo, quasi ancora si stesse ai
tempi dell’inquisizione. Poi stranamente non me ne parlò più, e la sera se ne
ripartì per il convento come era già stabilito.
Qualche giorno dopo io ripresi in mano il
mio Lucrezio tradotto in versi sciolti dal
matematico e poeta seicentesco Alessandro Marchetti, ma notai subito che
qualche cosa non era più come prima. Lo sfogliai qua e là e finalmente vidi che erano state tagliate ed asportate
una quindicina di pagine. Lessi quanto c’era prima nelle pagine precedenti al
taglio e poi quanto in quelle seguenti e mi resi conto con raccapriccio, che
erano state tolte tutte le pagine in cui Lucrezio trattava della mortalità
dell’anima.
Capii tutto e la rabbia mi fece male di
dentro, prendendomela con tutto l’oscurantismo pretesco e fratesco, ma
specialmente con mio cugino: se l’avessi
avuto vicino come minimo gli avrei strappato tutta la tonaca, anzi l’avrei
menato. Tanta era la mia rabbia. Si può anche tentare d’imporre le proprie
idee, ma non si può rovinare un libro. Questo è intollerabile.
Tuttavia, passati alcuni anni e ricompratomi
il De rerum natura, non solo mi passò la rabbia e non solo mio cugino dimenticò
l’episodio, ma tornammo amici, anzi lui poi mi aiutò procurandomi l’ospitalità
del suo convento nel periodo per i miei esami da privatista per l’abilitazione
magistrale. E di questo gliene sono sempre grato. Anche se non ho mai dimenticato
lo strappo di quel libro per me prezioso come tutti i libri, anche se in
edizione poverissima.