martedì 9 febbraio 2016

          VECCHIE  E NUOVE TECNICHE DI PRODUZIONE

   Guardo la televisione e sono sbalordito. Si vedono nuovi modi di coltivare e di produrre. Non so che  cosa  pensare e immaginare per l’avvenire.  Il vecchio lavoro dei campi è solo residuale, sparisce con i vecchi contadini che se ne vanno anno dopo anno. Il nuovo lavoro dei campi è quello di un’agricoltura sempre più tecnologica. Le colture idroponiche sono forse solo avvisaglie di applicazioni scientifiche sempre più avanzate. Le coltivazioni possono addirittura fare a meno delle campagne.
   L’agricoltura si è industrializzata.  Le innovazioni impiegate sono sempre più avanzate, con metodi e strumenti che noi vecchi non possiamo immaginare, perché sono studiati anche in prospettiva aerospaziale, non solo per il terreno dove poggiamo i piedi. A leggerne, ci appaiono così spettacolari che non si può che restare incantati.
  Già, perché io mi rivedo da ragazzino a guardare una decina di cavalli che, tenuti con lunghe funi  da un uomo al centro, giravano sull’aia a pestare con gli zoccoli le fave da trebbiare. E mi rivedo poi più grande, proprio come un’infinità di contadini, faticare un mondo per falciare l’erba e farne fieno, a mietere il grano con u surricchju (falcetto)  e le cannelle (pezzi di canna in cui infilare le dita della mano sinistra per proteggerle da tagli per incauti movimenti del surricchju con la destra) e le cupelle ( contenitori in legno a forma di bariletti di due o tre litri per mantenere l’acqua o il vino freschi per quanto possibile, comunque per evitare la fragilità del vetro delle bottiglie e dei fiaschi). 
  Mi rivedo anche a vangare il terreno, poi con la zappa a fare le cofe (piccole buche in cui porre a dimora alcuni semi di fagioli, di ceci o d’altro) poi ancora a zappare le piantine di fagioli e di granturco (zzappa’ i facioli e ‘o randurcu) poi ancora  a rincalzare le piantine ormai cresciute (rengasola’ i facioli e ‘o randurcu) e poi ancora, al raccolto, mi rivedo sull’aia improvvisata e provvisoria a battere i fagioli col correggiato (a bbatte i facioli co’ u mazzafrustu) e poi ancora a ventilarli (congialli) per pulirli dai residui dei baccelli secchi che il vento accumulava a bordo dell’aia.
   Certo, allora si coltivavano campi caratterizzati dalla piccola proprietà contadina, in cui è tuttora difficile introdurre metodi di coltivazione  appartenenti a  quel processo di industrializzazione adeguato ad estensioni ragguardevoli di terreni, d’altra parte non facilmente applicabile anche perché variamente accidentati.
   Ripenso anche alle galline che allora facevano parte integrante della nostra economia autarchica su cui si basava la vita familiare. Per la produzione delle uova bisognava aspettare il nuovo tepore primaverile, per poi esporle trionfalmente sulla tavola pasquale. E per i polli (i pollastri) dovevamo aspettare  che le galline si facessero chiocce per la cova come in “Valentino” del Pascoli:          
            Poi le Galline chiocciarono, e venne
              Marzo, e tu, magro contadinello,
              restasti a mezzo, così con le penne,
              ma nudi i piedi, come un uccello.
   Ora invece le galline sono allevate in capannoni illuminati e depongono le uova ogni giorno, anche duecento l’anno; e i pulcini vengono fatti nascere  senza le chiocce, con le incubatrici. Noi contadini allora lo vedemmo fare le prime volte nel convento dei Passionisti, ed eravamo meravigliati come davanti ad un’opera di magia.
  Ne abbiamo viste, però, poi tante altre. Ed ora, quando entro in un supermercato, rimango sempre un po’ dubbioso, sempre un po’ spaesato, come se improvvisamente e contemporaneamente mi trovassi in luoghi diversi e che stanno agli antipodi del mondo.
   Perché come settanta anni fa, ancora mi aspetto di trovare erbe e frutti di stagione, e invece trovo che nel supermercato le stagioni sono scomparse, perché in ogni giorno dell’anno trovo frutta e verdura di differenti stagioni, di ogni genere e di ogni provenienza: trovo insieme cocomeri, arance, uva e carciofi.    
   Perché nei campi non ci sono più né u mazzafrusto,u sappo’ (zappa) né a jocca pe cova’ l’ova (la chioccia per covare le uova) ma c’è ovunque l’industria con le nuove tecniche sbalorditive, che sembra facciano miracoli, ma che, secondo me, alterano e manipolano la natura e che a lungo andare forse snaturano e fanno male anche all’uomo.


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