ACQUA E IGIENE NEGLI
ANNI TRENTA
Nel nostro paese eravamo fortunati per
l’acqua. Sin dal Seicento i Borghese vi avevano costruito un centro di mulini e
frantoi idraulici, captando l’acqua da una sorgente di Monte Gennaro mediante
un condotto scoperto cui i paesani potevano attingere liberamente. Poi furono
captate le acque da Sant’Angelo e negli
anni trenta avevamo cinque fontane da cui attingere acqua e un lavatoio con tre
vasche per insaponare i panni, per ripassarli e risciacquarli.
Nelle fontane c’era sempre un andirivieni di
donne sulla, che portavano acqua in casa con le conche di rame sulla testa. Il
posto della conca in casa era nell’acquaio, cioè a nnu sciacquaturu. E nella conca, o appeso alla parete, c’era u sotellu, cioè il ramaiolo, con cui
ognuno beveva a suo piacimento attingendo dalla conca, senza bisogno di
bicchieri.
Meno che sull’acqua, si lesinava su tutto,
anche perché c’era davvero poco. A cominciare dalla casa. I più poveri avevano
un’unica stanza, la stessa per vivere, per mangiare, per dormire e per morire.
Anche con sette o otto figli. Ed allora di figli se ne facevano molti, a parte
la “battaglia demografica” del Duce, sia perché a non farli era peccato secondo
il prete, sia perché erano una risorsa per la famiglia e per i vecchi (che
allora non avevano la pensione) sia perché ne morivano anche tanti: ad una mamma che ne aveva avuti una ventina ne
erano rimasti appena sette. I meno
poveri, o che stavano un po’ meglio, avevano due stanze, una per cucinare e una
per dormirvi tutti insieme. Solo alcuni avevano più di due stanze per la
propria abitazione. Ecco perché durante tutta l’estate quasi tutti i maschi
dormivano in campagna, nelle capanne di paglia o sotto gli alberi più folti per
ripararsi dalla guazza.
Comunque, a parte quelle di alcune famiglie,
in nessuna altra casa c’era il bagno, cioè non c’era il cesso. Perché non c’era
l’acqua corrente, non c’erano le fogne, anche se nella parte nuova del paese
c’erano gli scoli per l’acqua piovana. Nelle cucine invece c’era un secchio
posto sotto l’acquaio per la raccolta dell’ acqua usata, che spesso veniva
buttata per la strada.
D’altra parte, proprio perché mancavano i
bagni, c’erano gli orinali (i rinali)
sotto i letti, cioè i vasi da notte, e su trespoli in ferro i bacili per
lavarsi le mani e la faccia al mattino. In verità molti letti erano fatti di
tavole con sopra pagliericci imbottiti con brattee di granturco che fungevano
da materassi.
Il secchio sotto l’acquaio consentiva il
recupero della sciacquatura dei piatti, che veniva riciclata per il beverone
dei maiali, custoditi nei “fratticci”
posti fuori dell’abitato, ma qualche volta anche nelle stalle poste sotto le
case.
La pulizia personale era davvero un bel
problema, che però troppo spesso non si poneva affatto come un vero problema.
Pareva del tutto naturale lavarsi solo la faccia e qualche volta, ma solo
qualche volta, anche tutto il corpo, con la piccola bagnarola di latta posta in
mezzo ad una stanza. Come non era affatto un problema per i maschi andare per i
propri bisogni corporali appena fuori del paese, dietro un cespuglio o al
riparo di qualche pietraia.
Che la pulizia personale non fosse un
problema era un’idea che veniva da lontano, forse dal medioevo. Forse da certe
prediche di cui si sentiva ancora l’eco. Perché bisognava curarsi l’anima e non
il corpo, che era fonte di peccato, specialmente se si faceva il bagno, in cui
ci si prendeva cura delle parti intime. Come era anche fonte di peccato il
corpo delle donne per diaboliche tentazioni, per cui andava coperto sino al
capo per nascondere i sensuali capelli, con grandi fazzoletti legati sotto al mento, come si vedono ancora
in certi quadri di cose sacre, ed oggi ancora in molte donne islamiche
immigrate.
Ricordo che un vecchio prete, verso il 1960,
mi diceva che il sapone e il bidé erano strumenti inventati per opera del
diavolo. E ricordo che un vecchio del mio paese si vantava di lavarsi la
faccia, ma solo la faccia, ogni settimana, perché gliela lavava il barbiere col
pennello e il rasoio facendogli la barba.
Ed erano normali i pidocchi delle bambine e
le pulci e le cimici nei letti. Oggi sembra incredibile, dopo il DDT e altri
insetticidi, ma specialmente per la
disponibilità dell’acqua nelle case. Anzi penso che per i giovani di oggi queste
cose siano proprio incredibili; e che non possano immaginare di vedere mamme
spidocchiare i capelli delle figlie e schiacciare i pidocchi fra le unghie dei
pollici anche in mezzo alle strade, come era comune allora e come era naturale
per noi ragazzi.
La
pulizia personale non era un problema, come invece era per gli antichi romani,
che non potevano vivere senza il bagno quotidiano. E come è per gli islamici,
per i quali l’abluzione del corpo è purificazione rituale obbligatoria, sia
nella forma di abluzione minore che in
quella di abluzione maggiore.
C’era anche da noi una specie di abluzione
rituale, ma riguardava la casa e si svolgeva
con le cosiddette pulizie di Pasqua. Allora, nei giorni precedenti la
Pasqua, le donne pulivano la casa a fondo e le più giovani spiccavano gli
utensili di rame dalle pareti delle cucine, li portavano vicino alle fontane e
li lucidavano con la pozzolana, per farli brillare come nuovi, sicché, per
asciugarli, ne facevano spettacolo per tutto il giorno, anche per dimostrare lo
stato della propria agiatezza nei confronti dei meno agiati e dei più poveri.
Il mondo allora era fatto anche di queste
miserie; ma in fondo oggi non è molto cambiato, perché si mostrano auto più o
meno potenti, orologi di pregio e altro con lo stesso intento d’allora.
Il problema dell’igiene però non riguardava
solo gli adulti, ma specialmente i bambini di due, tre, quattro anni che
venivano lasciati a giocare per la strada polverosa col sederino nudo sotto gli
abitini comuni ai maschi e alle femminucce, perché le mutandine si sarebbero
dovute lavare ogni momento a causa dei loro bisognini fatti per la strada. E
ciò era la causa di molte loro malattie intestinali e della morte di numerosi
bambini.
L’igiene dipendeva anche dalle bestie, cioè
dalle galline, dai somari, dai buoi, dai cavalli, ecc. custoditi nelle stalle
accanto alle case o che razzolavano liberamente per le strade, con il relativo
letame e con le mosche, le pulci e le
zecche dei cani e dei gatti. Per questo di tanto in tanto veniva emessa qualche
ordinanza per l’allontanamento delle bestie dall’abitato, ma restavano sempre
disattese, proprio come le grida manzoniane, anche se quello era il tempo del
fascismo, quello del credere obbedire e combattere. Ma il Duce allora aumentava
le tasse a tutti per andare con la guerra a costruire le strade e le case agli
abissini in Africa. Anzi chiedeva il dono delle fedi dei poveracci per le sue
conquiste. E intanto da noi si seguitava a vivere nella miseria.
Il problema dell’igiene durò anche dopo la
guerra, fino a quando vennero le
macchine agricole che fecero scomparire gli animali: asini, buoi, cavalli e
tutte le altre bestie. Però io non sono affatto convinto che le macchine siano
più pulite delle bestie; certamente non sono ecologiche come gli animali, tanto
che producono gas venefici, polveri sottili e rumori tremendi, non il nobile
letame che nutre ogni pianta e ci dona ogni bendidio della natura.