DOPO L’OTTO SETTEMBRE
1943
Dopo che l’esercito italiano si era dissolto,
i tedeschi si attestarono sul fronte di Cassino e divennero padroni del
territorio. Nel nostro paese requisirono vari locali e vi si stabilirono.
Con
l’aiuto dei fascisti, che sembravano resuscitati, perlustravano le campagne per
scovare gli ex prigionieri alleati usciti dal campo di concentrazione di S.
Maria e che la popolazione aiutava a nascondersi nei luoghi più disparati. E
poiché avevano bisogno di braccia per il carico e scarico di munizioni e scavo di trincee e fortificazioni,
facevano le prime retate di giovani, davano la caccia agli ex militari che non
si erano presentati alle armi con la chiamata del governo fascista e perciò
dichiarati renitenti e disertori.
Tutti noi giovani cercavamo di sfuggire
alle retate e di nasconderci per non
collaborare con i tedeschi, che erano odiati non solo per il ricordo della
Grande Guerra, ma anche per il loro spirito aggressivo e la loro violenza
militaresca.
Mio fratello, tornato dalla Russia e poi da
Bologna, per circa un mese salì sul Pratone di Monte Gennaro, dove si stava
allestendo una banda di resistenza partigiana. Poi se ne tornò, forse perché la
banda non riusciva ad organizzarsi e si andava sfaldando; non riusciva a prendere
forma militare con chiarezza e scopi precisi (in qualche modo si organizzò mesi
dopo e fu efficiente sotto vari aspetti, specialmente per il recupero di armi
lanciate col paracadute e destinate alle varie bande di partigiani di
Monterotondo e Tivoli).
Io, che avevo allora diciassette anni,
durante quello stesso mese me ne stetti sempre in campagna con le pecore. La
notte dormivo vestito, per terra, su un
po’ di paglia, dentro un casaletto di una decina di metri quadrati e coperto da
bandoni.
La sera chiudevo ogni fessura per nascondere
la pochissima luce che io cercavo di accendere per leggere qualche libro;
infatti avevo adattato una scatolina di latta a lumino ad olio; però non avevo
lo stoppino e cercavo di ricavarlo dallo spago di una vecchia rete per le
pecore. Ma era difficile ottenere una lucina appena sufficiente per un po’ di
lettura prima di dormire e con una fiammella che oscillava ora più chiara ed
ora più lieve, ma sempre sul punto di spegnersi.
La notte era dominata quasi incessantemente
dal ronzare di un ricognitore alleato nel cielo, che spesso lanciava un gran
numero di nastrini argentati per confondere i riflettori di Guidonia lanciati a
scandagliare il cielo nel buio. Uno di quei nastrini lo misi per ricordo tra le
pagine del mio dizionario Palazzi, ed ancora lo conservo anche se ne è rimasto
solo un pezzetto.
Poi le retate in paese continuarono
frequenti, ma ognuno cercava di sfuggire in qualche modo.
Un giorno presero anche mio fratello assieme
ad una ventina di altri giovani. Li avevano rinchiusi tutti in una casa ai
limiti del paese, in località Carpini, dove c’erano capannucce per galline e
maiali, in mezzo a grossi cespugli e massi di pietra che si alzavano per più di
qualche metro, l’uno vicino all’altro. Dopo qualche ora, due tedeschi li fecero
uscire, li misero in colonna per portarli via. Mio fratello rallentò i suoi
passi in fondo alla fila, e appena il tedesco si voltò verso i primi che
camminavano davanti, fece un balzo e corse via, fra un cespuglio e l’altro; il
tedesco gli sparò col Mauser, ma non lo prese ed egli scomparve saltando tra un
cespuglio e l’altro e tra i massi di pietra in ripidissima discesa.
Anche le perlustrazioni per la caccia
degli ex prigionieri alleati nelle campagne
proseguirono specialmente con una pattuglia di tedeschi guidati da un’accanita
giovane donna fascista, che attraversava i campi sempre tenendo una pistola in
pugno. Ma non furono pochi gli ex prigionieri che sfuggirono alla cattura,
perché protetti e assistiti dai miei compaesani, alcuni dei quali però furono
scoperti e reclusi a Regina Coeli; qualcuno per miracolo non finì alle Fosse
Ardeatine.
Il pericolo cui si espose una grossa parte
della popolazione per nascondere gli ex-prigionieri fu davvero enorme e
significativo per spirito di solidarietà umana. Ed anche l’atteggiamento di noi giovani verso i
fascisti ed i tedeschi non fu meno significativo: per quanto possibile
sfuggivamo ad ogni controllo e rifiutavamo qualsiasi collaborazione, poiché li
sentivamo profondamente nemici e colpevoli di averci trascinato in una guerra
impari ed umanamente ingiusta.