SECONDO ATTACCO AEREO
Mio padre cominciò a pensare di andarcene dal paese, ma non ce ne
accennò affatto. Qualche giorno dopo ( se ricordo bene uno degli ultimi giorni
di marzo del ’44) stavamo disboscando con vanghe e pale circa un’ara di terra
di piccole querce e rovi. Vista la bella giornata primaverile, mio fratello
s’era portato anche Giorgetto, un
bambino di otto/dieci anni, figlio di Anselmo che lavorava a Roma. C’era con noi anche mio cugino
Tomasso.
Improvvisamente, verso le dieci, si sentì il
noto rumore cupo dei quadrimotori angloamericani. Guardammo in alto: erano
ventiquattro bombardieri spuntati in direzione di Montorio. Mentre guardavamo,
vidi che il primo aereo lanciò un razzo di fumo nero. Buttati! Buttati!
gridarono mio fratello e Tomasso che conoscevano bene quel segnale per essere
stati in guerra.
Ci buttammo nella lunga fossa di scavo, uno dietro l’altro, mentre mio
fratello si mise sopra a Giorgetto per proteggerlo. Sentii subito sottili
fischi nell’aria e poi un po’ lontano da noi scoppi di bombe e ancora un boato tremendo per lo
scoppio di due depositi di tritolo nascosti sotto gli olivi tra il curvone e il
Crocifisso.
Poiché
noi stavamo un po’ lontano dal luogo
bombardato, ma avevamo timore che tornassero gli aerei per una seconda ondata, corremmo
a ripararci sotto un residuo di grotta fatto di cappellaccio.
Da
circa un’ora scoppiavano in
continuazione i proiettili dei depositi nascosti lungo la carrozzabile, sempre
nella direzione del Ponte di Moricone, e noi stavamo sempre riparati sotto la
mezza buca di cappellaccio, quando io e Tomasso ci alzammo per renderci conto
della situazione: in quell’attimo vedemmo sul colle di “Sandunicola”, nella
direzione del Ponte, in un lampo, alzarsi nel cielo una montagna di fuoco. Ci lanciammo
di nuovo nel riparo e subito la terra tremò per un boato inimmaginabile e
sentimmo e vedemmo cose in aria che fischiavano e che volavano sopra di noi.
Poi sapemmo che era saltato il deposito di tritolo con tutto il casale
di “Filippo’ “, poco discosto dal ponte,
nel cui piano superiore era alloggiato il comando tedesco, ma che era pieno di
tritolo al piano terra.
Si
disse poi che i tedeschi del comando, rimasti imprigionati nel casale e terrorizzati,
non fecero che urlare disperatamente, poiché non riuscivano a mettersi in salvo
per i proiettili che scoppiavano continuamente intorno, fino a quando qualche
proiettile forse penetrò a piano terra, dette fuoco al deposito di tritolo, e
allora tutti si volatilizzarono assieme al casale.
Questo
fu poi raccontato da alcuni giovani di Montelibretti, che erano stati requisiti
dai tedeschi e obbligati a caricare gli autocarri e che erano riusciti a
rifugiarsi nella cava di pozzolana poco lontana, quando sentirono arrivare i
bombardieri.
Al posto del casale rimase una buca enorme; tutti
gli olivi del campo di “Filippo’ “ furono annientati. Dopo la ritirata dei
tedeschi e l’arrivo degli angloamericani, quando tornammo da Monteflavio, io
poi trovai tra gli olivi della Palombara una trave di ferro contorta e il
catenaccio della cantina del casale; il torchio era volato nel “Pastenagno” e trovai verso il fosso di Ricani
diversi blocchi di cemento, quelli che io avevo sentito volare nel boato
tremendo sopra di noi, forse a una distanza di qualche chilometro.
In quel bombardamento morirono Ezio De Vecchis
e Attilio Prosseda, miei coetanei, che
stavano lavorando nei loro terreni, posti uno al di qua e l’altro di là dal
Risecco.
Nessun commento:
Posta un commento