martedì 31 marzo 2015

                                       SECONDO ATTACCO AEREO

   Mio padre cominciò a pensare di andarcene dal paese, ma non ce ne accennò affatto. Qualche giorno dopo ( se ricordo bene uno degli ultimi giorni di marzo del ’44) stavamo disboscando con vanghe e pale circa un’ara di terra di piccole querce e rovi. Vista la bella giornata primaverile, mio fratello s’era portato  anche Giorgetto, un bambino di otto/dieci anni, figlio di Anselmo che lavorava  a Roma. C’era con noi anche mio cugino Tomasso.
   Improvvisamente, verso le dieci, si sentì il noto rumore cupo dei quadrimotori angloamericani. Guardammo in alto: erano ventiquattro bombardieri spuntati in direzione di Montorio. Mentre guardavamo, vidi che il primo aereo lanciò un razzo di fumo nero. Buttati! Buttati! gridarono mio fratello e Tomasso che conoscevano bene quel segnale per essere stati in guerra.
   Ci buttammo nella lunga fossa di scavo, uno dietro l’altro, mentre mio fratello si mise sopra a Giorgetto per proteggerlo. Sentii subito sottili fischi nell’aria e poi un po’ lontano da noi scoppi  di bombe e ancora un boato tremendo per lo scoppio di due depositi di tritolo nascosti sotto gli olivi tra il curvone e il Crocifisso.
  Poiché noi stavamo  un po’ lontano dal luogo bombardato, ma avevamo timore che tornassero gli aerei per una seconda ondata, corremmo a ripararci sotto un residuo di grotta fatto di cappellaccio.
  Da circa un’ora  scoppiavano in continuazione i proiettili dei depositi nascosti lungo la carrozzabile, sempre nella direzione del Ponte di Moricone, e noi stavamo sempre riparati sotto la mezza buca di cappellaccio, quando io e Tomasso ci alzammo per renderci conto della situazione: in quell’attimo vedemmo sul colle di “Sandunicola”, nella direzione del Ponte, in un lampo, alzarsi  nel cielo una montagna di fuoco. Ci lanciammo di nuovo nel riparo e subito la terra tremò per un boato inimmaginabile e sentimmo e vedemmo cose in aria che fischiavano e che volavano sopra di noi.
   Poi sapemmo che era saltato il deposito di tritolo con tutto il casale di “Filippo’ “, poco discosto  dal ponte, nel cui piano superiore era alloggiato il comando tedesco, ma che era pieno di tritolo al piano terra. 
  Si disse poi che i tedeschi del comando, rimasti imprigionati nel casale e terrorizzati, non fecero che urlare disperatamente, poiché non riuscivano a mettersi in salvo per i proiettili che scoppiavano continuamente intorno, fino a quando qualche proiettile forse penetrò a piano terra, dette fuoco al deposito di tritolo, e allora tutti si volatilizzarono assieme al casale.                                                                                    
  Questo fu poi raccontato da alcuni giovani di Montelibretti, che erano stati requisiti dai tedeschi e obbligati a caricare gli autocarri e che erano riusciti a rifugiarsi nella cava di pozzolana poco lontana, quando sentirono arrivare i bombardieri.
   Al posto del casale rimase una buca enorme; tutti gli olivi del campo di “Filippo’ “ furono annientati. Dopo la ritirata dei tedeschi e l’arrivo degli angloamericani, quando tornammo da Monteflavio, io poi trovai tra gli olivi della Palombara una trave di ferro contorta e il catenaccio della cantina del casale; il torchio era volato nel  “Pastenagno” e trovai verso il fosso di Ricani diversi blocchi di cemento, quelli che io avevo sentito volare nel boato tremendo sopra di noi, forse a una distanza di qualche chilometro.
  In quel bombardamento morirono Ezio De Vecchis e Attilio Prosseda, miei coetanei,  che stavano lavorando nei loro terreni, posti uno al di qua e l’altro di là dal Risecco.                                                                                                                                                                                   




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