IL BOMBARDAMENTO
Il bombardamento dei depositi delle munizioni per rifornimento del
fronte di Cassino avevo messo in allarme tutto il paese.
Mio padre intanto aveva già pensato di portarci a Monteflavio e si era accordato con un suo amico e con i nostri
parenti monteflaviesi originari di Paganico. L’amico ci dava ospitalità per le
pecore, messe accanto alle capre sue in
località Frolleta, i parenti ci avevano
messo a disposizione una casa tutta per noi.
Il giorno dopo l’attacco ai depositi di dinamite e proiettili per cannoni, facemmo alcuni
preparativi essenziali. Fra l’altro, nascondemmo un po’ di olio e di vino
dentro una grotta dell’ex cava di pozzolana nel nostro terreno, che poi
riempimmo di fascine e terra, in modo da nasconderne l’apertura.
Il giorno dopo ancora, caricammo le cose necessarie sull’asino e uscimmo
da Sandunicola con le pecore. Con nostra grandissima sorpresa, nonostante tutti
i nostri richiami insistenti, uno dei cani non volle seguirci: inspiegabile per
un cane che non vuole seguire il proprio padrone per rimanere a guardia del
nostro campo!
Risalimmo il Risecco e poi, lentamente percorrendo le scorciatoie,
giungemmo alle Frolleta e quindi a Monteflavio. Nonostante tutto, a quel tempo
si poteva ancora lasciare il bestiame incustodito nella notte; noi e gli amici
caprai infatti lasciammo pecore e capre alle Frolleta e ci ritirammo nelle case
a Monteflavio.
La mattina dopo, non ricordo bene se il 3 aprile (sono passati
settantuno anni, una vita) io, mio
fratello e gli amici caprai tornammo al caprile e cercammo di costruirci un
riparo con le grosse pietre del luogo, quasi come nelle trincee, ma coperte in
qualche modo per ripararci da eventuali attacchi aerei. Di tanto in tanto io
guardavo il mio paese che vedevo dall’alto, abbastanza vicino da distinguere
bene le vie ed ogni casa.
Verso le dieci, in una mattinata bellissima per il cielo sereno e la
luce di primavera, sentimmo tremare la terra e guardammo nel cielo per capire dove i
quadrimotori fossero diretti: nei mesi passati, spesso volavano verso Fara, e poi si udivano i bombardamenti
cupi e lontani, in direzione di Orte e Terni.
Ma quel giorno comparvero di nuovo da Montorio. Io li guardai e fu un
momento. Il capostormo lanciò un segnale di fumo e subito udii i soliti fischi
d’aria e vidi che le bombe cadevano e scoppiavano proprio sul nostro paese.
Ero stordito, perché cercavo di localizzare le esplosioni che vedevo tra
le case, mentre davanti agli occhi mi apparivano i nonni, gli zii e tutti
quelli che ancora erano rimasti in paese. Non ricordo più se piangevo, se
tremavo, se ero una statua di pietra, di quelle pietre enormi e bucate che mi
stavano intorno.
Il resto, ciò che era avvenuto, i nomi dei morti, li seppi la sera,
quando molti del paese se ne vennero come noi a stabilirsi a Monteflavio.
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