giovedì 28 maggio 2015

                                         RETORICA  FASCISTA

   Al tempo delle mie elementari, la retorica del Duce e dei fascisti straripava ovunque: dalla radio, dai giornali, dalle “adunate” nelle celebrazioni del 21 aprile per il Natale di Roma, del 9 maggio per l’anniversario della fondazione dell’Impero nel 1936, del 24 maggio per l’anniversario della dichiarazione di guerra nel 1915, del 28 ottobre per l’anniversario della marcia su Roma nel 1922, del 4 novembre  per l’anniversario della vittoria nel 1918.
   In quei giorni celebrativi, il nostro piccolo paese pullulava di divise: camicie nere della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (cioè l’esercito parallelo del partito fascista)  bandiere, gagliardetti,  cortei con la banda musicale che suonava Il Piave, la Marcia Reale, Giovinezza e gli altri inni fascisti.
   Era una retorica tambureggiante, gonfia  e tronfia nelle parole e nelle immagini, con l’ideale e la mistica fascista, con la  fede nel Duce,  con l’eroismo verboso, con la gestualità magniloquente: prima di tutto con quella parola  “Duce”, aulica e dannunziana, a indicare Mussolini nella sua posa  di capo e condottiero d’eserciti che voleva riecheggiare la grandezza di Cesare; e poi il ciarpame dei distintivi col fascio, con i  pugnali, i moschetti, i teschi, i cinturoni, gli stivali dei caporioni, ecc.
  Altro aspetto notevole della retorica fascista fu il richiamo alla grandezza di Roma, la pretesa di far rivivere in quegli anni lo spirito guerriero degli antichi romani, l’aspirazione a una rinascita della grandezza della civiltà romana e l’impero di Roma col dominio del mare nostrum.
  Per questo noi alunni eravamo indottrinati non solo nella mistica fascista, ma anche negli episodi esemplari dell’eroismo e della stoicità dello spirito romano:  i fratelli Orazi e i Curiazi, Orazio Coclite che da solo difende il Ponte Sublicio, Muzio Scevola che brucia la sua mano per aver mancato l’uccisione di Porsenna, Cincinnato che rinuncia alla dittatura e torna ad arare i suoi campi, la madre dei Gracchi che mostra i figli come suoi gioielli, ecc. ecc. E per questo eravamo anche impegnati a cantare Fuoco di Vesta Inno a Roma, come espressione ed omaggio alla grandezza di Roma, di cui noi dovevamo sentirci naturali ed orgogliosi eredi.
  La retorica più grassa e vuota era soprattutto nella pretesa della fondazione di un nuovo millenarismo, di una nuova era, cioè dell’era fascista, per cui anche noi ragazzi delle elementari ad ogni compito scolastico dovevamo scrivere la data e aggiungere ad essa l’anno dell’era fascista (ad es. 4 aprile 1936 – XIV E. F.).
   Altri esempi di retorica, ma anche di concrete realizzazioni, furono la battaglia del grano, la battaglia demografica e la battaglia per l’igiene e la sanità.  




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