LE BATTAGLIE FASCISTE
La battaglia
del grano dette risultati sicuramente positivi, puntando non sull’aumento
delle aree di semina, ma sulla produttività delle varietà, che in quegli anni
anche da noi s’imposero con quelle che ancora oggi ricordo più diffuse da noi:
Reatino, Carosello, Roma, ecc. Ricordo che però da noi non rendeva più di
tredici volte il quintale di semina, per cui sentivo i contadini del mio paese
lamentarsi della scarsità del raccolto.
In effetti, la battaglia del grano non
riguardò il territorio del nostro paese, caratterizzato dalla piccola proprietà
contadina. I piccoli appezzamenti non consentivano una coltivazione intensiva.
Ogni contadino in genere provvedeva alla semina del grano necessario al consumo
familiare o poco più.
La lavorazione dei campi (aratura e semina )
era affidata ai bovari, che possedevano una o due coppie (vette, in dialetto) di buoi da aggiogare all’aratro. Neanche nelle
terre del principe Torlonia, per quanto estese, si realizzò effettivamente
la battaglia
del grano, perché venivano suddivise e concesse per la coltivazione del
grano ai molti bovari della zona, sicché ne risultava una coltivazione
frazionata, come se fosse costituita da centinaia di piccoli campi. Infatti la
resa per ettaro continuò ad essere come sempre assai povera, cioè intorno ai
tredici quintali per ettaro, nelle migliori condizioni.
La battaglia della sanità riguardò la
davvero benemerita lotta contro la tubercolosi, con l’istituzione di Consorzi
Antitubercolari, con la vendita di francobolli nelle scuola per la campagna
antitubercolare e il divieto di sputare per terra con le annesse
contravvenzioni (ricordo gli avvisi stampati affissi alle pareti delle
osterie).
E davvero, allora, negli anni trenta, c’erano
anche nel nostro piccolo paese diversi casi di tisi, soprattutto di giovani, di
cui ancora ho vivo il ricordo, e l’allarme delle mamme che raccomandavano ai
figli di non raccogliere eventuali caramelle cadute per la strada (si supponeva
che fossero state succhiate e poi abbandonate dagli ammalati, come per gli
untori nella peste).
La battaglia demografica fu sottolineata con
la tassa sul celibato: chi non si sposava doveva pagare una tassa annua, mentre
venivano premiate le famiglie numerose e le nascite di gemelli. Nel mio piccolo
paese nacquero molti più bambini in vista dei vantaggi economici; e ricordo
anche due coppie di gemelli cui furono imposti i nomi di Bruno e Vittorio in
onore dei due figli del Duce con gli stessi nomi. Fu allora che si diffusero
anche i nomi di Benito e Benita.
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