IL 25 APRILE DI UN
NOVANTENNE
Noi allora giovani ci nutrivamo d’ideali e di
speranze già dall’otto settembre del 1943, con più intensità già dal giugno
1944 quando fummo liberati, ma ci sembrò di vivere in un mondo nuovo e in più
sicuri orizzonti col 25 aprile del 1945.
Allora, accanto le une alle altre, vedevamo sventolare le bandiere dei
nuovi partiti, le bandiere rosse, la bandiera bianca e le bandiere tricolori.
Erano i simboli di nuove idee, di nuove speranze, di nuovi programmi, di nuovi
ideali, del partito d’azione, del partito comunista, della democrazia
cristiana, del partito socialista, del partito democratico del lavoro, del
partito liberale, del partito repubblicano, ecc.
Erano simboli, ideali, programmi che suscitavano tante speranze in noi
più giovani, ma anche i primi contrasti tra chi sosteneva la preminenza del
principio di libertà con la conservazione della vecchia struttura economica e
chi invece sosteneva la preminenza della giustizia sociale, con l’esigenza di riforme profonde per la
costruzione di una società più equa.
Io mi entusiasmavo per l’unione dei principi e
degli ideali di giustizia e libertà che erano a fondamento del Partito d’Azione, nato appunto dal movimento
“Giustizia e Libertà” dei fratelli Rosselli, che l’avevano fondato a Parigi nel
1929 durante il loro l’esilio; il cui assunto era: non può esservi libertà
senza giustizia sociale e non può esservi giustizia sociale senza la libertà.
Nel corso di settant’anni, il principio di libertà che era stato nei
nostri sogni è stato stravolto. Le
multinazionali, favorite dal progresso tecnologico, l’hanno manipolato col
liberismo radicale fino a trasformare la libertà in permissivismo, senza più un
concreto rispetto per le regole, inducendo la persona a vivere secondo
parametri di un individualismo esasperato che ha allentato ogni legame di
solidarietà, ha soffocato lo spirito di comunità, ha spinto al consumismo e
sollecitato gli uni all’indifferenza per
gli altri.
Nel corso di settant’anni il principio di giustizia sociale è stato
eroso costantemente e progressivamente fino ad essere ridotto alla sola sua
parvenza, nell’inconsistenza di una formula resa vuota perché privata di ogni
concretezza. C’è oggi una divisione netta della società: da una parte stanno i
grandi possessori di ricchezza finanziaria, dotati di ogni mezzo e di ogni
possibilità di manovra sul campo economico e politico, dall’altra c’è la massa
che tira a campare con i mezzi più scarsi e senza possibilità di scelte nella
sua sfera di vita.
Allora, nel solco della Resistenza e sugli
ideali e le speranze del 25 aprile del 1945 furono poggiati ben saldi e luminosi questi primi quattro articoli
della Costituzione del 1948:
Art. 1 – L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro….
Art. 2 – La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…….
Art. 3 – E’ compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che….impediscono il pieno
sviluppo della persona umana…..
Art. 4 – La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e
promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto.
Dopo settant’anni è inutile chiedersi se questi principi costituzionali
siano concretamente applicati nella realtà sociale, giacché si possono vedere
giovani che non trovano lavoro, uomini nel pieno delle capacità lavorative che
hanno perso il lavoro, uomini finiti in condizioni di emarginazione dalla vita
economica e sociale e con lesioni della dignità umana, cioè di quella dignità
che è precipuamente tutelata dalla Carta Costituzionale.
E allora è lecito chiedersi se ancora vi sono davvero i partiti di
sinistra a difendere lo stato sociale, per cui essi si costituirono nella presa
di coscienza dei diritti della persona, nelle lotte e nelle conquiste di quei
diritti, che con la Resistenza furono poi sanciti nella nostra Carta
Costituzionale. Dove sono finiti quei partiti e quelle bandiere e quegli ideali
e quei programmi?
Dopo
settant’anni, ora che sono davvero vecchio, il minimo che posso dire è che sono
profondamente deluso; deluso per come è
stata ridotta la libertà a licenza e deluso per come è stato eroso il senso di
giustizia sociale, secondo il principio della competizione che inevitabilmente
porta all’egoismo.
Non
avrei mai creduto di vivere tanta
delusione. E penso che i morti che si sono sacrificati per la realizzazione di
quegli ideali siano morti davvero invano. Per pietà di loro non vorrei vedere
più corone d’alloro sulle loro tombe.
Non per quelle corone essi infatti lottarono,
sostennero torture e sacrificarono la loro vita, ma per la realizzazione dei
loro e nostri ideali, per la libertà e per la giustizia sociale delle nuove
generazioni, per la tutela dei diritti e della dignità della persona di ogni
ceto e di ogni nazione in ogni momento della storia.