2016: il 25 APRILE DI UN NOVANTENNE
Il 25 aprile 1945 fu l’ultimo atto di una
tragedia. Fu anche l’inizio di una speranza. Fu il nostro sogno di libertà e di
giustizia sociale. Non solo il sogno della pace.
Per noi del Lazio e di Roma quel sogno era però cominciato già nel giugno
dell’anno prima, quando i tedeschi e i fascisti si erano dovuti ritirare verso
la Linea Gotica, tanto che a settembre io, appena diciottenne, avevo già aperto nel mio paese la sezione del
Partito d’Azione, leggevo L’Italia Libera, e seguivo con entusiasmo gli scritti
e gli interventi di Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, Fernando Schiavetti,
Emilio Lussu, Aldo Garosci ed altri ancora.
Qualche anno dopo, un compaesano iscritto al
Partito d’Azione di Roma fece
commissariare la mia sezione per autorizzare l’iscrizione di una
trentina di persone che non avevano niente a che vedere con gli ideali
azionisti, anzi molti di essi li avevano ancora con quelli fascisti, con lo
scopo di sottrarmi la rappresentanza in seno al Comitato locale della
Resistenza, per poter eleggere un
sindaco di destra.
Quella sera io piansi di nascosto. Piansi per
il primo tradimento degli ideali della Resistenza, per il primo tradimento verso i partigiani che si erano fatti torturare e
trucidare per la libertà di tutti.
Ma ne vivemmo subito altri di tradimenti, due
ad opera del cosiddetto realismo di Togliatti; e tutti e due ferirono
particolarmente noi del Partito d’Azione.
Il primo di questi fu la concessione del
condono per i delitti commessi dai fascisti, quando ancora ci offendevano i
loro misfatti e quando anche noi giovani
prendevamo coscienza delle violenze che i fascisti avevano commesso durante
tutto il ventennio.
Il secondo tradimento fu l’approvazione
dell’articolo sette della Costituzione. Esso non solo offendeva il nostro
laicismo ma permetteva una pesante ingerenza nella nostra nascente Repubblica
da parte della Chiesa, che aveva definito il Duce “uomo della provvidenza” e
che per un ventennio era stata in connubio col fascismo.
Mai o quasi mai nella storia si parla di
tradimento. Eppure essa è intessuta di tradimenti. Intendo dire di tradimenti
sociali e intellettuali. Non se ne parla perché sempre a subire quei tradimenti
sono i popoli in generale, più in particolare sono le classi sociali subalterne
o, per dirla papale papale, sono soprattutto i poveri, anche
i poco agiati, ultimamente anche la classe media.
Non occorre per questo riferirsi alla storia di Roma antica. E neanche a
tutta la storia successiva. Basterebbe rifarsi alle guerre del Risorgimento e
ai plebisciti condotti per censo, con le annessioni determinate ognuna da poche
migliaia di ricchi e qualificate ancora oggi come votate dal popolo. Come basterebbe rifarsi alle
guerre coloniali e alla prima guerra mondiale, per constatare come sono state
condotte apparentemente in nome e per interesse del popolo, ma effettivamente
solo a danno del popolo.
A me, che ho vissuto gli anni e gli ideali
della Resistenza e che le speranze di noi giovani mi parevano certezze fissate quasi in modo
ferreo nelle parole e negli articoli della Costituzione, a me allora sarebbe
sembrato davvero mostruoso immaginare che nei decenni successivi, quegli stessi ideali, per cui tanti furono
torturati e uccisi, sarebbero stati traditi nei fatti e in mille modi.
Allora, quel giorno del 25 aprile del 1945,
tutte le speranze di noi giovani sventolarono
come bandiere. Ora rabbrividisco. Molti nella Resistenza per gli ideali
della giustizia e della libertà del popolo furono trucidati e ed erano morti
con negli occhi la speranza: la speranza per i figli e per le generazioni
future! La pace, il lavoro, la libertà, la giustizia sociale!
Invece ancora oggi Papa Francesco deve
gridare e condannare l’ideologia dello “scarto”, dello scarto dei più poveri,
dello scarto degli emarginati. E io rabbrividisco per un mondo che vedo sempre
più disumano. Rabbrividisco per i nostri ideali traditi.
Erano spiriti eletti e provenivano
dall’esilio e dalla lotta antifascista quelli che sancirono nella Costituzione
“L’Italia è una Repubblica fondata sul
lavoro”. Ed erano i morti delle lotte operaie e contadine lungo due secoli
quelli che testimoniavano il diritto al lavoro, il diritto alle otto ore giornaliere di lavoro, alle
ferie e alla pensione, il diritto all’istruzione , alla salute.
Poveri morti, che hanno buttato la loro vita
ancor giovani per una speranza, per un’ideale, oggi morti inutilmente!
Hanno un lavoro oggi i nostri giovani?
Quante ore lavorano oggi i nostri giovani? Quelli che lavorano stanno con la
paura di essere licenziati in ogni momento, in nome dell’iniziativa privata,
della competizione, della concorrenza spietata, del mercato. Anche del mercato
del lavoro. Perché l’uomo di nuovo è sul mercato. Di nuovo è fatto merce. Col
rischio dello “scarto”!
25
aprile 2016. Penso a tutti coloro che
sacrificarono la loro vita nelle carceri, nell’esilio, nelle forche,
nelle sparatorie repressive, nelle fucilazioni. Inutilmente. Non pensavo di
vivere da vecchio queste tremende delusioni. Non pensavo ancora di vivere
queste ingiustizie. Non pensavo soprattutto di vivere questa tremenda assenza
di ideali! E non pensavo di vivere questa insostenibile indifferenza degli uni
per gli altri!
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