giovedì 14 aprile 2016

                  2016:  il 25 APRILE DI UN  NOVANTENNE

    Il 25 aprile 1945 fu l’ultimo atto di una tragedia. Fu anche l’inizio di una speranza. Fu il nostro sogno di libertà e di giustizia sociale. Non solo il sogno della pace.
   Per noi del Lazio e di Roma  quel sogno era però cominciato già nel giugno dell’anno prima, quando i tedeschi e i fascisti si erano dovuti ritirare verso la Linea Gotica, tanto che a settembre io, appena diciottenne,  avevo già aperto nel mio paese la sezione del Partito d’Azione, leggevo L’Italia Libera, e seguivo con entusiasmo gli scritti e gli interventi di Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, Fernando Schiavetti, Emilio Lussu, Aldo Garosci ed altri ancora.
  Qualche anno dopo, un compaesano iscritto al Partito d’Azione di Roma fece  commissariare la mia sezione per autorizzare l’iscrizione di una trentina di persone che non avevano niente a che vedere con gli ideali azionisti, anzi molti di essi li avevano ancora con quelli fascisti, con lo scopo di sottrarmi la rappresentanza in seno al Comitato locale della Resistenza, per  poter eleggere un sindaco di destra.
  Quella sera io piansi di nascosto. Piansi per il primo tradimento degli ideali della Resistenza, per il primo tradimento  verso i partigiani che si erano fatti  torturare e  trucidare per la libertà di tutti.
  Ma ne vivemmo subito altri di tradimenti, due ad opera del cosiddetto realismo di Togliatti; e tutti e due ferirono particolarmente noi del Partito d’Azione.
   Il primo di questi fu la concessione del condono per i delitti commessi dai fascisti, quando ancora ci offendevano i loro misfatti  e quando anche noi giovani prendevamo coscienza delle violenze che i fascisti avevano commesso durante tutto il ventennio.
   Il secondo tradimento fu l’approvazione dell’articolo sette della Costituzione. Esso non solo offendeva il nostro laicismo ma permetteva una pesante ingerenza nella nostra nascente Repubblica da parte della Chiesa, che aveva definito il Duce “uomo della provvidenza” e che per un ventennio era stata in connubio col fascismo.
   Mai o quasi mai nella storia si parla di tradimento. Eppure essa è intessuta di tradimenti. Intendo dire di tradimenti sociali e intellettuali. Non se ne parla perché sempre a subire quei tradimenti sono i popoli in generale, più in particolare sono le classi sociali subalterne o, per dirla papale papale, sono soprattutto i poveri,  anche  i poco agiati, ultimamente anche la classe media.
      Non occorre per questo riferirsi alla storia di Roma antica. E neanche a tutta la storia successiva. Basterebbe rifarsi alle guerre del Risorgimento e ai plebisciti condotti per censo, con le annessioni determinate ognuna da poche migliaia di ricchi e qualificate ancora oggi come votate  dal popolo. Come basterebbe rifarsi alle guerre coloniali e alla prima guerra mondiale, per constatare come sono state condotte apparentemente in nome e per interesse del popolo, ma effettivamente solo a danno del popolo.
  A me, che ho vissuto gli anni e gli ideali della Resistenza e che le speranze di noi giovani  mi parevano certezze fissate quasi in modo ferreo nelle parole e negli articoli della Costituzione, a me allora sarebbe sembrato davvero mostruoso immaginare che nei decenni successivi,  quegli stessi ideali, per cui tanti furono torturati e uccisi, sarebbero stati traditi nei fatti e in mille modi.
   Allora, quel giorno del 25 aprile del 1945, tutte le speranze di noi giovani sventolarono  come bandiere. Ora rabbrividisco. Molti nella Resistenza per gli ideali della giustizia e della libertà del popolo furono trucidati e ed erano morti con negli occhi la speranza: la speranza per i figli e per le generazioni future! La pace, il lavoro, la libertà, la giustizia sociale!
   Invece ancora oggi Papa Francesco deve gridare e condannare l’ideologia dello “scarto”, dello scarto dei più poveri, dello scarto degli emarginati. E io rabbrividisco per un mondo che vedo sempre più disumano. Rabbrividisco per i nostri ideali traditi.
   Erano spiriti eletti e provenivano dall’esilio e dalla lotta antifascista quelli che sancirono nella Costituzione “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Ed erano i morti delle lotte operaie e contadine lungo due secoli quelli che testimoniavano il diritto al lavoro, il diritto  alle otto ore giornaliere di lavoro, alle ferie e alla pensione, il diritto all’istruzione , alla salute.
  Poveri morti, che hanno buttato la loro vita ancor giovani per una speranza, per un’ideale, oggi morti inutilmente!
    Hanno un lavoro oggi i nostri giovani? Quante ore lavorano oggi i nostri giovani? Quelli che lavorano stanno con la paura di essere licenziati in ogni momento, in nome dell’iniziativa privata, della competizione, della concorrenza spietata, del mercato. Anche del mercato del lavoro. Perché l’uomo di nuovo è sul mercato. Di nuovo è fatto merce. Col rischio dello “scarto”!
    25 aprile 2016. Penso a tutti coloro che  sacrificarono la loro vita nelle carceri, nell’esilio, nelle forche, nelle sparatorie repressive, nelle fucilazioni. Inutilmente. Non pensavo di vivere da vecchio queste tremende delusioni. Non pensavo ancora di vivere queste ingiustizie. Non pensavo soprattutto di vivere questa tremenda assenza di ideali! E non pensavo di vivere questa insostenibile indifferenza degli uni per gli altri!


«


Nessun commento:

Posta un commento