lunedì 25 aprile 2016

                        IL 25 APRILE DI UN NOVANTENNE
   Noi allora giovani ci nutrivamo d’ideali e di speranze già dall’otto settembre del 1943, con più intensità già dal giugno 1944 quando fummo liberati, ma ci sembrò di vivere in un mondo nuovo e in più sicuri orizzonti col 25 aprile del 1945.
   Allora, accanto le une alle altre, vedevamo sventolare le bandiere dei nuovi partiti, le bandiere rosse, la bandiera bianca e le bandiere tricolori. Erano i simboli di nuove idee, di nuove speranze, di nuovi programmi, di nuovi ideali, del partito d’azione, del partito comunista, della democrazia cristiana, del partito socialista, del partito democratico del lavoro, del partito liberale, del partito repubblicano, ecc.
    Erano simboli, ideali, programmi che suscitavano tante speranze in noi più giovani, ma anche i primi contrasti tra chi sosteneva la preminenza del principio di libertà con la conservazione della vecchia struttura economica e chi invece sosteneva la preminenza della giustizia sociale,  con l’esigenza di riforme profonde per la costruzione di una società più equa.
   Io mi entusiasmavo per l’unione dei principi e degli ideali di giustizia e libertà che erano a fondamento del  Partito d’Azione, nato appunto dal movimento “Giustizia e Libertà” dei fratelli Rosselli, che l’avevano fondato a Parigi nel 1929 durante il loro l’esilio; il cui assunto era: non può esservi libertà senza giustizia sociale e non può esservi giustizia sociale senza la libertà.
  Nel corso di settant’anni, il principio di libertà che era stato nei nostri sogni è stato stravolto.  Le multinazionali, favorite dal progresso tecnologico, l’hanno manipolato col liberismo radicale fino a trasformare la libertà in permissivismo, senza più un concreto rispetto per le regole, inducendo la persona a vivere secondo parametri di un individualismo esasperato che ha allentato ogni legame di solidarietà, ha soffocato lo spirito di comunità, ha spinto al consumismo e sollecitato gli uni  all’indifferenza per gli altri.
  Nel corso di settant’anni il principio di giustizia sociale è stato eroso costantemente e progressivamente fino ad essere ridotto alla sola sua parvenza, nell’inconsistenza di una formula resa vuota perché privata di ogni concretezza. C’è oggi una divisione netta della società: da una parte stanno i grandi possessori di ricchezza finanziaria, dotati di ogni mezzo e di ogni possibilità di manovra sul campo economico e politico, dall’altra c’è la massa che tira a campare con i mezzi più scarsi e senza possibilità di scelte nella sua sfera di vita.
   Allora, nel solco della Resistenza e sugli ideali e le speranze del 25 aprile del 1945 furono poggiati  ben saldi e luminosi questi primi quattro articoli della Costituzione del 1948:
Art. 1 – L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro….
Art. 2 – La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…….
Art. 3 –  E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che….impediscono il pieno sviluppo della persona umana…..
Art. 4 – La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto.
   Dopo settant’anni è inutile chiedersi se questi principi costituzionali siano concretamente applicati nella realtà sociale, giacché si possono vedere giovani che non trovano lavoro, uomini nel pieno delle capacità lavorative che hanno perso il lavoro, uomini finiti in condizioni di emarginazione dalla vita economica e sociale e con lesioni della dignità umana, cioè di quella dignità che è precipuamente tutelata dalla Carta Costituzionale.
    E allora è lecito chiedersi se ancora vi sono davvero i partiti di sinistra a difendere lo stato sociale, per cui essi si costituirono nella presa di coscienza dei diritti della persona, nelle lotte e nelle conquiste di quei diritti, che con la Resistenza furono poi sanciti nella nostra Carta Costituzionale. Dove sono finiti quei partiti e quelle bandiere e quegli ideali e quei programmi?
   Dopo settant’anni, ora che sono davvero vecchio, il minimo che posso dire è che sono profondamente  deluso; deluso per come è stata ridotta la libertà a licenza e deluso per come è stato eroso il senso di giustizia sociale, secondo il principio della competizione che inevitabilmente porta all’egoismo.
   Non avrei mai creduto di vivere  tanta delusione. E penso che i morti che si sono sacrificati per la realizzazione di quegli ideali siano morti davvero invano. Per pietà di loro non vorrei vedere più corone d’alloro sulle loro tombe.
   Non per quelle corone essi infatti lottarono, sostennero torture e sacrificarono la loro vita, ma per la realizzazione dei loro e nostri ideali, per la libertà e per la giustizia sociale delle nuove generazioni, per la tutela dei diritti e della dignità della persona di ogni ceto e di ogni nazione in ogni momento della storia.


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